Lo spot “My Secrets”, andato in onda tre anni fa con protagonista Elisabetta Canalis, aveva acceso un acceso dibattito sulla pubblicità e la salute alimentare. La réclame presentava la showgirl che dichiarava di ascoltare il proprio corpo bevendo acqua San Benedetto, definita “leggera ma con tanti nutrienti preziosi”. Un passaggio però aveva fatto discutere: una scena mostrava Canalis bruciare delle fette di pane, dando l’impressione che bastasse bere acqua per restare in forma. Le critiche arrivarono soprattutto da Il Fatto Alimentare, che contestò il messaggio ritenuto fuorviante e potenzialmente pericoloso perché suggeriva che l’acqua potesse sostituire un pasto.
Le polemiche iniziali e la risposta legale di San Benedetto
Il dibattito scaturito dallo spot si trasformò presto in una battaglia legale. San Benedetto contestò apertamente le critiche de Il Fatto Alimentare, chiedendo un risarcimento di un milione e mezzo di euro per presunti danni d’immagine e perdita di clientela. L’azienda sostenne che le accuse avessero danneggiato la sua reputazione commerciale. La vicenda arrivò davanti al giudice civile del tribunale di Venezia, Lisa Micochero, chiamato a valutare se le critiche fossero legittime o diffamatorie. Il giudice respinse il ricorso di San Benedetto, ordinando all’azienda di pagare le spese legali.
Diritto di critica tutelato dalla legge
La sentenza sottolineò che gli articoli pubblicati rappresentavano una forma di diritto di critica, tutelata dalla legge. Lo spot, secondo il giudice, dava l’impressione che la colazione venisse saltata, ma senza dirlo apertamente: si appoggiava a un gioco di “non detto”. Questa ambiguità, a giudizio della corte, giustificava le osservazioni e le perplessità espresse dal quotidiano.
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Lo Iap, la censura mancata e il ruolo del diritto di critica
Al centro della vicenda c’era anche una presunta censura dello spot da parte dello Iap, l’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria. Il Fatto Alimentare citava una mail inviata dall’Iap il 4 ottobre 2022. Nel messaggio si avanzava il dubbio che lo spot attribuisse all’acqua caratteristiche particolari non esplicitate chiaramente. Fu anche diffusa una notizia secondo cui San Benedetto avrebbe sospeso la campagna pubblicitaria, poi smentita ufficialmente dall’azienda appena il giorno dopo.
Il quotidiano aggiornò il proprio articolo per correggere il titolo e indicare la smentita, comportamento che venne giudicato corretto dal tribunale. La sentenza riconobbe come l’intento del Fatto Alimentare fosse quello di esercitare il diritto di critica senza eccedere o diffamare e chiarì che non c’era stata alcuna censura da parte dello Iap.
Smentite ufficiali e correttezza giornalistica
Il comportamento del quotidiano nel correggere tempestivamente le informazioni fu valutato positivamente, confermando l’impegno nel rispettare i principi di correttezza e trasparenza nel riportare notizie.
Un precedente che rafforza la libertà di stampa nel campo della pubblicità alimentare
Questa vicenda ha assunto rilevanza anche per il fronte della libera informazione e della libertà di critica, specie quando riguarda la comunicazione commerciale legata alla salute pubblica. Secondo Il Fatto Alimentare, la causa aveva un intento intimidatorio verso chi osa mettere in discussione i grandi marchi. Il tribunale, rigettando il ricorso, ha invece rimarcato come la critica sia un diritto difendibile a tutela dei consumatori e della corretta informazione.
Il giudizio di Venezia potrebbe quindi rappresentare un punto di riferimento per futuri casi analoghi, sottolineando il ruolo del giornalismo nel controllare la correttezza e la chiarezza dei messaggi pubblicitari, soprattutto quando toccano temi delicati come la dieta e il benessere. Sullo sfondo resta la necessità di bilanciare la tutela delle imprese e la protezione del pubblico da messaggi ingannevoli.