Accertamenti sul dna dell’impronta ritrovata sulla fiat 127 usata nell’omicidio di piersanti mattarella

Accertamenti sul dna dell’impronta ritrovata sulla fiat 127 usata nell’omicidio di piersanti mattarella

La procura di Palermo riapre le indagini sull’omicidio di Piersanti Mattarella con nuove analisi del dna da un’impronta sulla Fiat 127, per identificare i sospettati legati a Cosa Nostra.
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La procura di Palermo riapre le indagini sull’omicidio di Piersanti Mattarella, tentando di estrarre il DNA da un’impronta trovata 45 anni fa su una Fiat 127 usata dai killer, per identificare i presunti esecutori legati a Cosa Nostra. - Gaeta.it

La procura di Palermo ha annunciato nuove indagini tecniche per tentare di estrarre il dna da un’impronta trovata 45 anni fa su una Fiat 127. Questa auto fu utilizzata dai killer per la fuga dopo l’omicidio di Piersanti Mattarella, presidente della regione Siciliana, il 6 gennaio 1980. L’obiettivo è di confrontare il dna recuperato con quello degli indagati nel caso, in particolare due esponenti di Cosa Nostra.

Il ritrovamento dell’impronta sulla fiat 127 e le prime indagini

Dopo l’omicidio di Mattarella, le forze dell’ordine recuperarono un’impronta sullo sportello lato guidatore della Fiat 127 usata per fuggire. All’epoca, però, le tecnologie disponibili non permettevano di estrarre dati genetici da quella traccia. L’impronta venne archiviata come elemento poco utilizzabile ai fini delle indagini sulla scena del delitto. Solo ora, grazie ai progressi nelle tecniche forensi, la procura guidata da Maurizio De Lucia ha deciso di riaprire il caso.

Il 12 giugno viene fissato l’incarico ai periti per la comparazione biologica del materiale recuperato, con l’intento di identificare eventuali corrispondenze con dna appartenente agli indagati. Lo strumento investigativo si basa su metodi moderni che si sono dimostrati efficaci in casi analoghi, in grado di rilevare tracce di dna anche da superfici con impronte molto vecchie o degradate.

I sospettati principali e il contesto mafioso dietro l’assassinio

L’attenzione degli investigatori si concentra su due uomini legati a Cosa Nostra, Antonio Madonia e Giuseppe Lucchese, indicati come gli esecutori materiali dell’omicidio secondo le ipotesi più recenti. Madonia, soprannominato “l’uomo dagli occhi di ghiaccio”, è figlio di Francesco Madonia, boss di Resuttana. È noto per appartenere a una delle famiglie di mafia più influenti a Palermo. Lucchese, invece, viene indicato come colui che guidava la Fiat 127 durante la fuga. Quest’ultimo è affiliato al mandamento di Ciaculli ed è considerato un killer spietato dell’ala corleonese di Cosa Nostra.

Le due persone avevano rispettivamente 28 e 22 anni al momento dell’uccisione di Mattarella. In precedenza, vi era stata un’altra pista che ipotizzava coinvolgimenti neofascisti, con Giusva Fioravanti e Gilberto Cavallini come possibili autori, ora abbandonata dai magistrati.

Le condanne ai mandanti e le lacune sull’identità degli esecutori

Sono stati condannati diversi boss della cupola mafiosa come mandanti dell’omicidio, tra cui Totò Riina, Michele Greco, Bernardo Provenzano, Bernardo Brusca, Pippo Calò, Francesco Madonia e Antonino Geraci. Questi nomi rappresentano i vertici di Cosa Nostra responsabili della decisione di uccidere Mattarella. Nonostante questo, finora non si era riusciti a individuare ufficialmente chi avesse premuto il grilletto quel giorno.

L’intervento più recente della procura tenta di colmare questa lacuna, supportando con dati biologici la linea investigativa che attribuisce la responsabilità agli esponenti mafiosi citati. I risultati dei test sul dna potrebbero avere un ruolo decisivo per chiudere la fase processuale sugli esecutori materiali e fornire nuovi elementi di prova.

Il valore delle nuove tecnologie nel recupero di prove storiche

La possibilità di estrarre dna da impronte anche molto vecchie rappresenta un passo avanti per le indagini su vecchi delitti. Nel caso di Palermo, gli strumenti di oggi permetteranno di sfruttare tracce lasciate su oggetti usati durante l’azione criminale, non utilizzabili fino a pochi anni fa. Questo potrà offrire uno spunto per nuove conferme investigative e servire da esempio per altre inchieste sui reati irrisolti.

Il recupero del dna da una superficie come una portiera di automobile è delicato, ma gli esperti incaricati sembrano fiduciosi sulla possibilità di ottenere un profilo genetico anche da una traccia così datata. Questo approccio può rappresentare un modello per le procure impegnate nello scioglimento di cold case. Se il confronto con i dna degli indagati darà esito positivo, sarà uno sviluppo significativo per il processo in corso.

L’impegno nel riesaminare prove e reperti si integra con la lunga lotta alla mafia, cercando di portare avanti verità che per decenni sono rimaste offuscate. A Palermo, città segnata da numerosi episodi legati alla criminalità organizzata, ogni nuova prova assume un peso importante sulle vicende giudiziarie e sulla memoria collettiva.

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