La recente manifestazione a Roma contro le stragi in Medio Oriente ha visto la partecipazione di persone con diverse convinzioni politiche e culturali, unite dall’urgenza di ribadire un no alle violenze indiscriminate. Tra questi, un uomo di 58 anni racconta il suo percorso personale, segnato dall’amore per la libertà e il rispetto per la vita, che lo ha spinto a scendere in piazza. Il suo racconto attraversa ricordi, radici culturali e un forte impegno contro ogni forma di terrorismo, da qualunque parte provenga.
Radici culturali e testimonianze di una storia condivisa
Chi parla ha sempre sostenuto il diritto di Israele a vivere in pace e difeso la sua legittimità, un percorso che nasce dal contatto diretto con la storia più drammatica del novecento. Ha visitato i campi di sterminio in Polonia, toccando con mano l’orrore della Shoah, e ha camminato nelle sinagoghe e nei cimiteri ebraici sparsi in varie città europee, da Praga a Roma, da Ravenna a Cracovia. Proprio nella città polacca, con la famiglia ha vissuto per una settimana nel ghetto ebraico, soggiornando in un albergo gestito da una famiglia di fede ebraica. Quel legame con la cultura ebraica fa parte anche delle sue radici cattoliche, un legame che gli ha trasmesso un rispetto profondo per la memoria e la sofferenza di quel popolo.
Rifiuto netto delle violenze
L’attenzione alla storia trova poi un riflesso nel rifiuto netto della violenza e del terrorismo, che da sempre condanna senza distinzioni di colore politico o motivi religiosi. Lo sappiamo, la violenza spezza vite e genera solo ulteriore dolore: questo è il messaggio che ha accompagnato tutta la sua esperienza. Dopo il 7 ottobre, quando Hamas ha compiuto attacchi sanguinosi, ha manifestato vicinanza alle vittime, in particolare ai bambini e ai giovani assassinati in modo brutale.
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Una protesta contro ogni forma di violenza e sopruso
Sabato scorso a Roma ha sentito la necessità di spostarsi e unirsi alla manifestazione come gesto morale. È convinto che uno stato democratico come Israele non debba agire con i metodi criminali dei terroristi. Non può accettare che a Gaza si continuino a uccidere bambini, donne, operatori umanitari, giornalisti e medici, vittime inutili di un conflitto che strappa vite innocenti. Questa lotta non può essere giustificata con la logica della terribile rappresaglia che assomiglia troppo a quella dei terroristi.
La piazza e i suoi partecipanti
In piazza ha visto decine di persone di ogni estrazione sociale: giovani, anziani, donne e uomini, uniti nel condannare allo stesso modo il terrorismo di Hamas e l’operato del governo di Benjamin Netanyahu. Nessuno tra loro mostrava atteggiamenti antisemiti, anzi erano tutti concentrati a chiedere un futuro diverso attraverso la soluzione dei due stati, senza guerre e massacri. A parlare ha preso anche il presidente delle ACLI, che ha espresso il dolore per la situazione attuale e per le perdite umane: i 60 mila morti a Gaza, ma anche gli oltre 1.200 israeliani uccisi nei singoli attacchi del 7 ottobre.
Un’eredità di pace e memoria antifascista
L’uomo riporta il pensiero a suo nonno, partigiano che aveva vissuto la guerra senza mai usare la violenza gratuita anche verso chi si era convertito al nuovo regime. Dopo il 25 aprile tornò a casa scalzo, regalando le sue scarpe a un amico partigiano che abitava più lontano. Questo gesto, simbolo di condivisione e umanità, rappresenta uno stile di vita che lui stesso condivide, lontano dall’odio e dalla vendetta.
Memoria e impegno personale
Questa memoria familiare ha rafforzato la sua convinzione: vale la pena combattere per difendere chi non può difendersi, in particolare bambini e donne, senza accettare che si taccino di terrorismo solo alcune violenze, ignorando quelle commesse da altri. È con questa consapevolezza che ha scelto di andare a Roma, portando con sé la testimonianza di un cattolico, di un liberale, di un italiano che non vuole accettare alcuna forma di violenza, a prescindere da chi la compia.