Una rassegna al Centro per l’Arte Contemporanea Pecci di Prato ricorda il periodo cruciale dal 1982 al 1996, anni segnati dalla diffusione dell’HIV-AIDS in Italia. La mostra collega linguaggi artistici diversi per raccontare la storia degli italiani colpiti dalla malattia e le risposte culturali e sociali di allora, coinvolgendo opere d’arte, poesie e materiali d’archivio.
Un percorso espositivo tra arte visiva e testimonianze poetiche
La mostra si apre con un film creato appositamente, che introduce i visitatori a un percorso emotivo e storico, condito dalle poesie di alcuni autori che hanno vissuto direttamente l’esperienza dell’HIV. Tra questi Dario Bellezza, Massimo Chiamenti, Nino Gennaro, Ottavio Mai, La Nina, Marco Sanna e Pier Vittorio Tondelli. I loro versi, spesso dolorosi e introspettivi, vengono letti da attori contemporanei, creando un ponte tra chi ha sofferto e chi oggi vuole comprendere quell’epoca.
La poesia, in particolare, emerge come strumento fondamentale per tramandare il senso di isolamento, la paura, ma anche i legami affettivi nati in quel difficile contesto. La scelta di includere un’ampia selezione di testi letti da artisti aggiunge un livello di immedesimazione e profondità che coinvolge il pubblico in modo diretto. L’arte non si limita ad essere decorativa ma diventa veicolo di memorie personali e collettive, testimonianze di un dramma sociale spesso ignorato.
L’archivio storico al centro della narrazione
A fare da cuore della rassegna è un archivio pensato come crocevia di molte voci, costruito con l’aiuto di storici e artisti come Valeria Calvino, Daniele Calzavara e I Conigli Bianchi, gruppo noto per l’impegno sociale. L’archivio raccoglie poster, documenti, manifesti, articoli stampa, video e registrazioni audio che descrivono la realtà italiana tra il 1982 e il 1996, includendo aspetti politici, culturali e sociali.
I materiali sono esposti su grandi bacheche da lavoro con ruote, il che permette di riorganizzare lo spazio e invitare a riflettere sulla natura aperta e incompiuta della memoria storica. Questa modalità di allestimento promuove un rapporto attivo con il visitatore, lasciando spazio a nuovi punti di vista e a riscritture possibili della narrazione.
All’interno dell’archivio, trovano spazio contributi contemporanei come quelli di Emmanuel Yoro e Tomboys Don’t Cry, i quali mettono in evidenza silenzi e lacune della storia ufficiale dell’epidemia in Italia. Si riscoprono inoltre poster di Gran Fury esposti alla Biennale del 1990 – mai più mostrati nel nostro paese fino ad oggi – accanto a opere di artisti internazionali come Keith Haring, Felix Gonzalez-Torres, David Wojnarowicz e Walter Robinson. Questi pezzi testimoniano la dimensione globale di una crisi che ha segnato profondamente anche il nostro territorio.
Presenza di grandi artisti con sale dedicate a figure chiave
La mostra riserva tre sale monografiche per approfondire le opere di Nino Gennaro, Francesco Torrini e Patrizia Vicinelli, artisti che hanno avuto un ruolo particolare nella rappresentazione dell’HIV attraverso il loro lavoro. Queste sezioni permettono di osservare più da vicino le modalità con cui singoli creativi hanno vissuto la malattia e trasformato il dolore in forme espressive.
Ogni sala offre uno spazio intimo per entrare nel mondo personale degli autori e cogliere le diverse sfumature dell’esperienza dell’epidemia nei primi quindici anni in Italia. Oltre alla dimensione emotiva, gli spazi espositivi raccontano un momento di grande cambiamento sociale e culturale, segnato dall’arrivo delle prime terapie antiretrovirali alla metà degli anni novanta.
Questo focus su singoli artisti completa il quadro più ampio proposto dalla mostra, che intreccia memoria collettiva e individuale, cronaca e creazione artistica. Lo sguardo viene così calibrato su molteplici livelli di lettura, facendo emergere aspetti anche poco conosciuti al grande pubblico.
Una mostra che sfida il silenzio sulla storia dell’HIV in Italia
Visibile fino al 10 maggio 2026, la rassegna al Centro Pecci di Prato rappresenta un’occasione per riflettere sulla stagione drammatica dell’HIV-AIDS in Italia nel periodo che va dagli anni ottanta all’inizio delle cure antiretrovirali. Una storia spesso messa da parte, che oggi viene riportata al centro con un’accurata selezione di testimonianze artistiche e documentali.
L’allestimento ha il pregio di non lasciare nulla immutato, stimolando lo spettatore a considerare la vicenda da più angolazioni e a riscoprire voci e volti altrimenti dimenticati. Il dialogo tra arte e archivio aiuta a far emergere le dinamiche sociali, le discriminazioni e le risposte culturali di quegli anni.
Non mancano, infine, spunti che richiamano la contemporaneità e le continue sfide poste dalla diffusione dell’HIV. Il progetto stimola, infatti, un confronto sulla memoria e la sua conservazione, una riflessione che riguarda non solo il passato ma anche il modo in cui oggi s’intende la malattia e la lotta contro lo stigma. La mostra si configura quindi come un momento di studio e di emozione, un contributo importante alla conoscenza e al riconoscimento di una ferita collettiva in Italia.