La strage di via Mariano d’Amelio a Palermo, avvenuta il 19 luglio 1992, resta un caso irrisolto sotto molti aspetti. Nonostante i processi e le indagini seguite alla morte del procuratore aggiunto Paolo Borsellino e dei cinque agenti della sua scorta, la verità completa continua a sfuggire. Sono emersi depistaggi evidenti, e sospetti su gruppi di potere legati alla vicenda, che hanno complicato la ricostruzione dei fatti. Le recenti aperture investigative, come quella dell’agenda rossa sparita e le nuove indagini sui rapporti tra mafia e appalti, ridisegnano la mappa delle responsabilità e la portata della manipolazione delle indagini.
La strage di via mariano d’amelio e il suo impatto sulla giustizia italiana
Nel pomeriggio del 19 luglio 1992, un’autobomba esplose in via Mariano d’Amelio a Palermo, provocando la morte del procuratore aggiunto Paolo Borsellino e di cinque agenti della sua scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. L’attentato rappresentò un colpo durissimo per lo Stato italiano, poiché Borsellino era uno dei magistrati più impegnati contro la mafia.
Le indagini iniziali puntarono alla mafia come esecutore materiale dell’attacco. Tuttavia, nel corso del tempo, emersero dettagli che suggerivano l’esistenza di una regia più ampia e di depistaggi sistematici. I giudici definirono questi depistaggi come “il più grande della storia d’Italia”. Gli esiti delle indagini non hanno mai chiarito fino in fondo chi fossero i mandanti reali e quali fossero le motivazioni nascoste dietro all’assassinio. Il peso politico e criminale di questa vicenda ha reso difficile fare luce su tutte le verità.
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Il ruolo dei depistaggi e dei gruppi di potere nelle indagini
Le attività investigative sul caso subirono varie interferenze. Una sentenza del 12 luglio 2022 ha individuato il coinvolgimento diretto di due investigatori della polizia, Mario Bo e Fabrizio Mattei, in accuse di favoreggiamento legato alle false piste costruite per confondere le indagini. Un terzo agente, Michele Ribaudo, è stato assolto mentre altri quattro poliziotti sono tuttora sotto processo per aver deposto in modo falso.
Questi agenti facevano parte del pool investigativo guidato da Arnaldo La Barbera, allora capo della squadra mobile di Palermo. La Barbera, uomo legato ai servizi segreti, fu coinvolto nella creazione di false testimonianze, in particolare con la costruzione del falso pentito Vincenzo Scarantino. Scarantino, un piccolo criminale di borgata, fu utilizzato come strumento per immettere accuse inventate e distorcere le responsabilità sulla strage. Inizialmente, sette persone furono condannate all’ergastolo basandosi su queste testimonianze fabbricate, ma furono successivamente scagionate grazie alle confessioni del reale pentito Gaspare Spatuzza, che presentò un quadro molto diverso dell’evento.
L’inchiesta ha quindi rivelato non solo l’azione della mafia, ma anche un coinvolgimento di poteri occulti che hanno inquinato la ricerca della verità, tentando di coprire situazioni più complesse.
La scomparsa dell’agenda rossa di borsellino e le nuove indagini
Un aspetto ancora più enigmatico riguarda la sparizione dell’agenda rossa che Paolo Borsellino teneva con sé e in cui annotava spunti e dettagli delle sue indagini. L’agenda si è volatilizzata subito dopo la strage e da allora non è stata mai ritrovata. La Procura di Caltanissetta ha svolto perquisizioni nelle abitazioni di alcuni protagonisti dell’inchiesta, come Arnaldo La Barbera e il procuratore Giovanni Tinebra, entrambi deceduti. I giudici hanno sottolineato che la mancanza di questo documento ha contribuito a mantenere nascosta o comunque non del tutto chiara una parte della verità sugli eventi.
L’agenda rossa è diventata un simbolo della mancanza di trasparenza nel percorso giudiziario, una testimonianza dell’ostacolo frapposto perché certe verità emergessero. La sua sparizione è stata definita dagli inquirenti un gesto che ha mortificato le istituzioni impegnate nella lotta alla mafia.
La pista mafia e appalti: nuovi sviluppi e indagini aperte
Negli ultimi mesi si è riacceso il dibattito sul rapporto del Ros riguardo ai legami tra mafia e appalti pubblici. L’ex comandante del Ros Mario Mori e il suo collaboratore Giuseppe De Donno hanno reso note le indicazioni contenute in quel dossier, che segnalava questa possibile pista per comprendere la strage di via d’Amelio. Secondo quanto riferito, Borsellino avrebbe mostrato interesse per questi collegamenti, ma la procura di Palermo guidata da Pietro Giammanco archivio rapidamente il caso, impedendo ulteriori approfondimenti.
Questa versione, appoggiata anche dalla famiglia Borsellino, ha portato la Procura di Caltanissetta ad aprire nuove indagini. Sono coinvolti gli ex pm Giuseppe Pignatone e Gioacchino Natoli e il generale della Guardia di Finanza Stefano Screpanti. L’accusa contesta loro di non aver valorizzato alcune intercettazioni cruciali, inizialmente destinate alla distruzione ma ritrovate negli archivi. Lo sviluppo di questa nuova inchiesta potrebbe rimodellare la comprensione degli interessi criminali che ruotavano attorno alla strage e ai tentativi di insabbiamento.
L’intera vicenda resta uno degli scandali più oscura della storia italiana recente. I processi continuano a far luce su dossier intricati e sul rapporto tra mafia e apparati dello Stato, in cerca di nuove tracce per avvicinarsi a una verità ancora sfuggente.