Vietata la geolocalizzazione dei dipendenti in smart working, cosa dice la legge sulle applicazioni di controllo

Vietata la geolocalizzazione dei dipendenti in smart working, cosa dice la legge sulle applicazioni di controllo

In Italia, la normativa limita l’uso della geolocalizzazione in smart working per tutelare la privacy dei lavoratori, imponendo il rispetto dello Statuto dei lavoratori e del GDPR nel monitoraggio digitale.
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L'articolo analizza i limiti legali e di privacy in Italia riguardo alla geolocalizzazione dei lavoratori in smart working, sottolineando il divieto normativo e le tutele previste dallo Statuto dei lavoratori e dal GDPR. - Gaeta.it

La possibilità di seguire la posizione dei lavoratori durante il lavoro da remoto solleva questioni legali e di privacy sempre più rilevanti. In Italia, recenti chiarimenti normativi specificano i limiti precisi entro cui il datore di lavoro può monitorare i dipendenti senza violare i diritti alla riservatezza. Un approfondimento di nt+ lavoro, firmato da Giuseppe bulgarini d’elci, mette in luce i divieti legati all’uso di software per la geolocalizzazione in smart working. Questi rilievi sono importanti per comprendere come e quando le aziende possono controllare chi lavora fuori sede.

I limiti normativi sulla geolocalizzazione in smart working

Il datore di lavoro non può tracciare la posizione geografica dei dipendenti tramite applicazioni installate su dispositivi aziendali o personali, soprattutto nel corso delle fasce di reperibilità che caratterizzano lo smart working. Questo divieto emerge chiaramente dalla normativa italiana, in particolare dall’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori . Tale articolo vieta l’installazione e l’uso di apparecchiature per controlli a distanza senza una precisa autorizzazione o accordo sindacale.

Chi utilizzasse sistemi di geolocalizzazione si esporrebbe a una violazione diretta di questa normativa, rischiando pesanti sanzioni. L’obiettivo di questa legge è difendere la dignità e la libertà dei lavoratori contro forme di controllo invadenti e non giustificate. Nel contesto dello smart working, dove il lavoro si svolge fuori dagli spazi tradizionali dell’azienda, questa tutela assume un significato ancora più evidente.

In pratica, l’identificazione in tempo reale della posizione del lavoratore sarebbe una forma di controllo a distanza non consentita, a meno che non esista un accordo tra le parti che regolamenti in modo preciso queste modalità, cosa rara e delicata.

La protezione dei dati personali nel monitoraggio digitale

Oltre ai divieti sanciti dallo Statuto dei lavoratori, entra in gioco anche la normativa sulla privacy, in particolare il regolamento europeo 2016/679, il cosiddetto GDPR. Il trattamento di dati personali come la posizione geografica rientra in categorie particolarmente sensibili, richiedendo basi giuridiche solide, trasparenza nelle finalità e limiti rigorosi rispetto alla quantità e al tempo di conservazione delle informazioni.

L’uso di app su smartphone o notebook aziendali per tracciare i lavoratori costituisce un trattamento che spesso manca di una giustificazione legale valida. Secondo quanto riportato da nt+ lavoro, questo tipo di monitoraggio “manca dei requisiti di liceità, correttezza e trasparenza imposti dal GDPR.”

Ciò significa che, anche nel caso in cui l’azienda intenda garantire la produttività o la sicurezza dei dipendenti durante lo smart working, deve evitare forme di controllo imposte senza consenso o senza motivazioni chiare e specifiche. La posizione del lavoratore è un dato personale da tutelare e qualsiasi intervento su questo fronte deve conformarsi alle regole europee.

Impatti pratici per aziende e lavoratori nello smart working

Le aziende devono quindi riorganizzare le proprie pratiche di verifica del lavoro da remoto senza affidarsi a sistemi di geolocalizzazione. Le verifiche devono basarsi su altri strumenti, come l’analisi dei risultati, la pianificazione delle attività o forme di comunicazione diretta con il lavoratore. Ogni tentativo di controllo invasivo rischia di compromettere i rapporti di fiducia e di incorrere in contestazioni legali.

I lavoratori, d’altro canto, possono rivolgersi agli enti di tutela e fanno valere i propri diritti se ricevono pressioni o strumenti di controllo che violano le norme. La chiarezza normativa aiuta a evitare abusi ma lascia aperto il confronto sulle modalità di gestione efficiente del lavoro agile.

Il contesto attuale dello smart working

Con il diffondersi dello smart working anche dopo gli anni segnati dalla pandemia, queste questioni sono sempre più attuali. L’equilibrio tra esigenza di controllo e rispetto della privacy resta delicato e il quadro normativo definisce limiti precisi per proteggere i diritti delle persone. Le aziende dovranno quindi adattarsi, puntando sulla trasparenza e sul rispetto per evitare contenziosi e garantire condizioni di lavoro corrette.

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