Via libera al tar per una fondazione legata all’autore di un femminicidio purché non ne porti il nome

Via libera al tar per una fondazione legata all’autore di un femminicidio purché non ne porti il nome

Il tribunale amministrativo regionale di Toscana autorizza la fondazione proposta da Maurizio Zini, a condizione che non porti il nome di Federico Zini, autore del femminicidio di Elisa Amato a Prato.
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Il Tribunale amministrativo regionale toscano ha autorizzato la nascita di una fondazione benefica legata al femminicidio di Prato, imponendo però che non venga intitolata al responsabile, riaprendo il dibattito sul rispetto della memoria delle vittime e le implicazioni etiche di tali iniziative. - Gaeta.it

La questione di una fondazione istituita in memoria di un autore di femminicidio ha trovato un nuovo sviluppo in Toscana. Dopo anni di polemiche, il tribunale amministrativo regionale ha stabilito condizioni precise che permettono la nascita dell’ente, a patto che non sia intitolato direttamente al responsabile dell’omicidio-suicidio. La decisione riapre il dibattito sul rispetto della memoria delle vittime e le implicazioni legali di iniziative simili.

La vicenda di federico zini e la proposta della fondazione

Nel 2018 a Prato, Federico Zini, venticinquenne, uccise Elisa Amato, la sua ex fidanzata di trent’anni, per poi togliersi la vita. L’episodio scosse profondamente la comunità locale e segnò l’inizio di un difficile confronto tra le famiglie coinvolte. Pochi mesi dopo quei fatti, il padre di Federico, Maurizio Zini, propose la creazione di una fondazione con finalità benefiche. Tra le idee emerse c’erano la raccolta fondi per sostenere la ricerca su patologie infantili e iniziative contro la violenza di genere. La volontà dichiarata era di trasformare un evento tragico in un’opportunità di supporto per cause sociali.

Tuttavia, la proposta si scontrò immediatamente con una forte resistenza pubblica. La natura della fondazione, associata al nome di un omicida, suscitò reazioni di indignazione soprattutto da parte delle associazioni per i diritti delle donne e dalla famiglia di Elisa Amato. Nel 2019 la Regione Toscana rifiutò l’iscrizione della fondazione al registro unico degli enti del Terzo settore , sottolineando come l’intitolazione a Federico Zini sarebbe stata offensiva verso la memoria della vittima e avrebbe compromesso gli scopi dell’ente.

Il ricorso al tar e le condizioni poste dal tribunale

Maurizio Zini decise di intraprendere un’azione legale contro il diniego della Regione Toscana. Dopo sei anni di attesa, il Tribunale amministrativo regionale ha accolto il suo ricorso, ma ponendo limiti specifici. Il Tar ha consentito la possibilità di costituire la fondazione, a condizione che non porti il nome di Federico Zini. Inoltre, ha imposto alcune modifiche al suo statuto per chiarire le finalità e garantire la correttezza del suo funzionamento.

Questa pronuncia rappresenta un caso raro e controverso nel diritto degli enti non profit. Da un lato riconosce il diritto di un genitore di dare vita a una realtà associativa con obiettivi sociali, dall’altro cerca di preservare il rispetto della sensibilità pubblica. Il tribunale ha evitato di ostacolare la nascita dell’ente, ma ha voluto ridurre l’impatto simbolico con l’intitolazione all’autore del femminicidio. La decisione dà dunque il via libera a una fondazione modificata rispetto all’idea originaria, mantenendo la possibilità di operare nel campo benefico o contro la violenza di genere.

Le reazioni della famiglia di elisa amato e il dibattito pubblico

La sentenza del Tar ha provocato una risposta immediata e dura dalla famiglia di Elisa Amato. Elena Amato, sorella della vittima, ha espresso il proprio disagio nel vedere che la famiglia di chi ha commesso quel crimine possa ora gestire una fondazione legata a quel nome, anche se senza il suo diretto utilizzo. “Ho dedicato la mia vita alla lotta contro la violenza sulle donne e non ho mai ricevuto scuse formali da parte di chi uccise mia sorella.”

Elena ha inoltre denunciato una tendenza culturale a vittimizzare chi ha commesso il reato, invece di proteggere la memoria delle vittime. La mancanza di dialogo e collaborazione fra le due famiglie ha acuito il dolore di quest’ultime. Questo aspetto ha alimentato la discussione pubblica sul modo in cui vanno affrontati casi di femminicidio, sul rispetto per chi subisce e sulle iniziative che coinvolgono i colpevoli o le loro famiglie. Una raccolta firme contro la fondazione aveva già manifestato il fronte contrario, dimostrando quanto il tema sia ancora molto sentito nella società.

Le polemiche non si spengono con il via libera del tribunale, che lascia aperta la questione dei limiti morali e simbolici di certe iniziative, in particolare quando riguardano crimini di violenza domestica. Alcuni ritengono che una fondazione legata indirettamente a un autore di femminicidio rischi di offuscare la memoria di chi è stato ucciso e di confondere la percezione pubblica delle responsabilità coinvolte. Altri sostengono invece il diritto al recupero e alla riconciliazione anche attraverso forme di impegno sociale.

Gli aspetti giuridici dell’iscrizione di fondazioni legate a casi di cronaca nera

Il caso di Prato solleva questioni complesse sulla regolamentazione delle fondazioni legate a persone coinvolte in reati gravi. Nel registro unico degli enti del Terzo settore si richiedono criteri specifici per l’iscrizione, tra cui la conformità agli scopi benefici e il rispetto dell’interesse pubblico. La Regione Toscana ha motivato la precedente esclusione con la tutela della memoria e il rischio di suscitare sentimenti negativi nella comunità.

Il Tar, nel rivedere questa decisione, ha bilanciato diversi interessi: da un lato il diritto dell’associazione a esistere per finalità benefiche, dall’altro il rischio di strumentalizzazione simbolica. Nel respingere il nome dell’autore del femminicidio come intitolazione, il tribunale ha mantenuto un confine netto tra memoria del crimine e attività sociale legittima. Questo orientamento potrebbe fare da precedente per altri casi simili in Italia e rappresenta un punto di riferimento nella giurisprudenza del diritto associativo.

L’intervento del tribunale mostra anche l’importanza di regole chiare nello statuto e nella gestione degli enti no profit, specie quelli con legami sensibili. Il caso evidenzia come la legge debba considerare sia gli aspetti procedurali sia le implicazioni emotive sul pubblico, cercando soluzioni di compromesso quando situazioni dolorose coinvolgono famiglie diverse e la comunità.

La vicenda continuerà a essere seguita con attenzione per capire come la fondazione potrà operare e quale sarà l’impatto su chi ha subito direttamente le conseguenze di quella tragedia.

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