Ventisei rinvii a giudizio e più di cento anni di carcere per clan camorristici e cosche in roma

Ventisei rinvii a giudizio e più di cento anni di carcere per clan camorristici e cosche in roma

Il tribunale di Roma dispone 26 rinvii a giudizio e 22 condanne per associazione mafiosa, estorsione e riciclaggio, smantellando reti criminali legate a camorra e ‘ndrangheta con infiltrazioni economiche nella capitale.
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Il tribunale di Roma ha disposto 26 rinvii a giudizio e 22 condanne per un totale di circa 140 anni di reclusione, nell’ambito di un’indagine antimafia su riciclaggio, estorsione e usura con legami tra camorra e ’ndrangheta, che ha smascherato complesse infiltrazioni economiche nella Capitale. - Gaeta.it

Il tribunale di Roma ha disposto 26 rinvii a giudizio e 22 condanne con rito abbreviato per un totale di circa 140 anni di reclusione in un’inchiesta coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia. L’indagine, avviata nel 2018, ha portato alla luce due organizzazioni criminali attive nel riciclaggio di denaro sporco. Le accuse riguardano vari reati, dall’estorsione al riciclaggio, con legami diretti con la camorra e la ‘ndrangheta.

L’operazione della dia e il coordinamento della dda di roma

Il procedimento deriva da un’operazione della Direzione investigativa antimafia attivata nel luglio scorso, che ha portato all’emissione di 18 misure restrittive. Il lavoro investigativo è stato coordinato dalla Direzione distrettuale antimafia di Roma sotto la guida del pubblico ministero Francesco Cascini. Le indagini hanno permesso di ricostruire reti complesse e ramificate tra clan camorristici e cosche legate alla ‘ndrangheta, operanti nella Capitale e in altre zone.

Gli arresti e le misure cautelari hanno interessato soggetti consapevoli dei ruoli chiave nei gruppi criminali, dediti ad attività illecite come l’estorsione e l’usura. Questi sono i reati che hanno portato all’avvio del procedimento penale e che hanno imposto restrizioni preventive a carico degli indagati.

Accuse e reati contestati agli imputati

Gli imputati sono chiamati a rispondere di associazione a delinquere con l’aggravante dell’associazione mafiosa. Tra gli altri capi d’accusa compaiono estorsione, usura, detenzione illegale di armi e intestazione fittizia di beni. Questi sono strumenti utilizzati per occultare proprietà e attività economiche che servivano a riciclare i proventi delle attività criminali. I beni venivano reimpiegati in settori come il commercio, l’edilizia e la logistica.

L’azione dei clan si estendeva anche al controllo economico di aziende del settore cinematografico, commerciale, automobilistico e della vendita di carburanti. Attraverso società di comodo e prestanome, le organizzazioni hanno nascosto i flussi di denaro illecito per consolidare la loro influenza sul tessuto imprenditoriale della città.

Figure chiave e condanne già definitive con rito abbreviato

Tra le condanne con rito abbreviato spicca quella a otto anni inflitta ad Antonio Nicoletti, figlio di Enrico Nicoletti, noto esponente della Banda della Magliana. Il legame familiare conferma come alcune dinamiche criminali si trasmettano di generazione in generazione. La pena più severa, pari a 14 anni, è stata comminata a Daniele Muscariello, produttore cinematografico ritenuto un tramite fidato delle organizzazioni mafiose. Questo collegamento testimonia il modo in cui il tessuto culturale e imprenditoriale viene infiltrato.

Invece, Vincenzo Senese, figlio del boss Michele Senese, soprannominato ‘O Pazz, è stato rinviato a giudizio. La sua posizione resta in sospeso nell’attesa di definire il processo ordinario. La presenza di figure legate ai boss sottolinea come l’influenza di queste consorterie rimanga radicata anche in ambienti apparentemente distanti dal crimine.

Riciclaggio e infiltrazioni economiche emerse dall’indagine

L’indagine uscita a galla ha evidenziato come queste organizzazioni gestissero ingenti flussi di denaro attraverso metodi complessi di riciclaggio. Le società fittizie e i prestanome hanno un ruolo centrale nel rendere difficile il tracciamento delle risorse economiche. I clan operavano in diversi settori, tra cui il cinema e l’edilizia, ma anche nel commercio di carburanti e automobili.

Attraverso questo sistema, venivano riciclati capitali provenienti da attività criminali per reinvestirli in attività lecite, garantendo così la sopravvivenza e l’espansione delle organizzazioni. L’indagine ha recuperato elementi concreti sull’uso delle imprese come copertura per nascondere fondi illeciti. Questo sistema ha contribuito a rafforzare l’influenza delle cosche sul territorio della capitale e dintorni, danneggiando la libera concorrenza e l’economia locale.

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