Nella città di Tulkarem, in Cisgiordania, un’operazione militare israeliana ha modificato radicalmente il volto di due campi profughi palestinesi. Le demolizioni degli edifici abitati da molte famiglie hanno trasformato quel territorio già fragile, lasciando migliaia di persone senza dimora. L’intervento, che le autorità israeliane definiscono una caccia ai militanti, si inserisce in un contesto di tensioni ancora aperte legate al conflitto israelo-palestinese. Le azioni hanno scosso la comunità locale e rilanciato il tema del diritto al ritorno, questione irrisolta sin dalla fondazione dello Stato di Israele.
Sgomberi forzati e demolizioni: la gestione dell’esercito nel campo di tulkarem
Gli eserciti israeliani hanno dato solo poche ore ai residenti dei campi profughi di Tulkarem per lasciare le proprie abitazioni e portare via oggetti personali prima che i bulldozer iniziassero a distruggere le strutture. La rapidità dell’azione ha lasciato molte famiglie impreparate. I mezzi pesanti hanno polverizzato case e negozi, creando ampi corridoi aperti tra le macerie, destinati a facilitare il passaggio dei mezzi militari nel perimetro del campo.
L’esercito ha definito questa fase come un giro di vite contro le basi logistiche dei gruppi armati palestinesi, responsabili di attacchi contro Israele secondo le autorità. Le demolizioni rientrano in un piano partito a gennaio, quando si è registrata una tregua relativa nella guerra di Gaza. Queste operazioni sembrano concentrare il controllo su punti chiave, sgomberando intere zone abitate da generazioni, ma altrettanto critiche per la comunità palestinese. Ai 104 edifici programmati per la demolizione questa settimana, se ne aggiungono altri già abbattuti nei mesi scorsi.
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Le demolizioni hanno intensificato la paura tra i residenti. Molte famiglie si vedono private non solo di un tetto ma anche di una storicità fondamentale: quella della loro posizione come rifugiati in terra palestinese. Quel territorio è stato abitato dai loro antenati fino alla nascita di Israele nel 1948, un evento che ha causato esodi e spostamenti forzati. Questa identità, legata al “diritto al ritorno” sulle terre originarie, rimane un nodo fondamentale del conflitto, senza trovare soluzioni o compromessi.
Abd al-Rahman Ajaj, nato 62 anni fa e residente nel campo, ha raccontato il suo ritorno a casa. Ha trovato solo macerie. Nessuno lo aveva avvertito dell’imminente demolizione. Ha perso gli effetti personali conservati in anni di vita. Queste testimonianze rivelano le conseguenze dirette di un’azione condotta senza preavviso. La comunità locale si trova ora in una condizione di profonda incertezza, tra ricordi di un passato radicato e un presente segnato da continue distruzioni.
Il contesto politico e militare dell’operazione israeliana a tulkarem
L’operazione a Tulkarem si sviluppa in uno scenario di tensioni crescenti nell’area della Cisgiordania. Le autorità israeliane hanno spiegato che l’intervento mira a colpire gruppi militanti palestinesi che operano tra i campi profughi. L’esercito punta così a interrompere attività ritenute ostili o violente, utilizzando metodi spesso discussi dai osservatori internazionali a causa degli effetti sull’intera popolazione civile.
L’inizio di questa fase risale a gennaio, in una fase di tregua non definitiva nella guerra tra Israele e Hamas nella striscia di Gaza. Da quel momento la militarizzazione di alcune zone è aumentata in Cisgiordania, con frequenti raid e demolizioni. Dal punto di vista militare l’obiettivo è limitare la capacità organizzativa di gruppi armati, mentre le ricadute sociali ed umanitarie scuotono la stabilità della regione.
Cambiamenti nel tessuto urbano e sociale
Le demolizioni operate lasciano spazio a varchi nel tessuto urbano, destinati a facilitare il controllo e gli spostamenti militari. Questo produce però una trasformazione permanente nel paesaggio abitativo e sociale, con i residenti che temono di essere cancellati non solo fisicamente ma anche nel loro ruolo storico e umano nelle terre occupate da decenni.
Gli sviluppi di questa situazione saranno seguiti con attenzione, considerando l’impatto che gli sgomberi e le demolizioni provocano su vite, comunità e sulla possibilità di mediazione in un conflitto che dura da più di settant’anni.