Nel cuore del Medio Oriente, lo Stretto di Hormuz resta la chiave per il 30 per cento del petrolio mondiale e il 20 per cento del gas liquefatto che attraversano ogni giorno. Le tensioni tra Iran e paesi limitrofi si riflettono immediatamente sui mercati energetici globali, con ripercussioni sui prezzi e sulle economie di più continenti. Questo passaggio strategico coinvolge teocrazie e monarchie ricche di risorse, pronte a difendere un vero tesoro sotterraneo.
Lo stretto di Hormuz: il crocevia indispensabile per il petrolio e il gas nel golfo persico
Lo stretto collega il Golfo Persico al Golfo di Oman e oltre, rappresentando un passaggio obbligato per le esportazioni di alcuni tra i principali produttori di idrocarburi al mondo. Iran, Iraq, Kuwait, Arabia Saudita, Qatar, Bahrein, Emirati Arabi Uniti e Oman guardano a quest’area come a un asset fondamentale per le loro economie, basate prevalentemente sulle esportazioni di petrolio e gas. Qui transita circa un terzo del petrolio che circola sul pianeta e una quota significativa di gas naturale liquefatto destinato ai mercati globali.
Effetti immediati sui mercati globali
Ogni provocazione o segnale di instabilità nell’area fa subito aumentare l’ansia dei trader. Per esempio, appena si è parlato dell’importanza strategica di Hormuz dopo l’attacco israeliano all’Iran, il prezzo del Brent è schizzato del 12 per cento. Il prezzo del gas naturale in Europa ha seguito a ruota, spinto dalle preoccupazioni di possibili interruzioni nella fornitura. Il rischio di una chiusura o di un blocco del traffico navale nello stretto fa tremare non solo gli operatori energetici ma anche le potenze economiche mondiali.
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Lo spettro degli anni ottanta e la minaccia attuale delle guardie della rivoluzione
L’ipotesi che lo stretto venga chiuso non è una novità. Negli anni ottanta, durante la guerra tra Iran e Iraq, era già stata evocata. Ma oggi il pericolo si materializza da un attore differente: i Pasdaran, le potenti guardie della rivoluzione iraniane, che hanno sollevato l’idea di usare quello che definiscono un “arma fine del mondo”. Diversa dall’arma nucleare che Teheran probabilmente non potrà mai possedere, questa minaccia punta a sconvolgere l’equilibrio del mercato energetico globale.
Cambiamenti nei rapporti di forza regionali
Questa retorica si accompagna a un cambiamento nei rapporti di forza regionali, con il confronto diretto tra l’Iran e le monarchie sunnite del Golfo. Non a caso, gli effetti si vedono subito sui costi delle assicurazioni per le navi che transitano nello stretto, saliti di oltre il 60 per cento nelle ultime settimane. L’incertezza spinge tutti verso misure precauzionali che già pesano sulle esportazioni e lo scambio commerciale globale.
Conseguenze economiche globali di un eventuale blocco dello stretto di Hormuz
Se lo stretto dovesse davvero chiudersi, l’impatto si allargherebbe molto oltre la regione. Alcuni analisti puntano a un prezzo del petrolio sopra i 130 dollari al barile, scenario che potrebbe mettere in ginocchio l’economia iraniana e nel contempo trascinare l’Europa in una crisi energetica profonda, aggravata da un’inflazione già alta negli Stati Uniti. Le monarchie del Golfo, già alle prese con deficit di bilancio elevati come quello saudita che supera i 67 miliardi di dollari, rischierebbero una crisi pesante.
Un blocco di Hormuz favorirebbe inoltre indirettamente la Russia. Nonostante le sanzioni occidentali e l’aspirazione europea di fissare un tetto ai prezzi del greggio attorno a 45 dollari, Mosca potrebbe trarre vantaggio da questo caos, trovandosi in una posizione migliore sui mercati mondiali. Questo ribaltamento delle sorti economiche metterebbe in difficoltà vari attori globali e renderebbe ancora più complessa la gestione delle risorse energetiche a livello internazionale.
Dichiarazioni ufficiali e deterrenti militari
Behnam Saeedi, parlamentare nel comitato per la sicurezza nazionale di Teheran, ha dichiarato che “chiudere lo stretto sarebbe una misura legale per l’Iran” nel contesto delle tensioni attuali. Dal punto di vista iraniano si presenterebbe come un atto di difesa legittima, seppure dagli effetti devastanti per il mercato energetico.
Il regime di Teheran sottolinea la propria preparazione per un conflitto armato. Minaccia apertamente le basi americane e le portaerei in un raggio di 2.000 chilometri, specificando che sono nel raggio dei suoi missili. Queste parole riflettono la crescente tensione militare nella regione e spiegano perché Washington abbia deciso di rinviare qualsiasi azione diretta dopo l’attacco israeliano. Il timore di un’escalation incontrollabile resta alto e fa pesare ogni mossa sulla scena internazionale.
Un’atmosfera carica di incognite e rischi
L’atmosfera intorno allo stretto di Hormuz è carica di incognite e rischi concreti. Lo sappiamo: ogni cambiamento in quest’area si ripercuote a livello globale, con effetti immediati sulle tasche di cittadini e aziende di tutto il mondo.