Centinaia di palestinesi stanno abbandonando le loro case nel campo profughi di Jenin, in Cisgiordania, a seguito di un’azione militare da parte delle forze israeliane. Questa operazione è caratterizzata da un crescente aumento delle tensioni e delle violenze nella regione. Inoltre, Israele ha richiesto agli Stati Uniti un’estensione di trenta giorni per completare il ritiro delle sue truppe dal sud del Libano, un tema che continua a suscitare preoccupazioni internazionali e regionali.
Evacuazione di Jenin e vittime palestinesi
Il 23 gennaio, il governatore di Jenin, Kamal Abu al-Rub, ha confermato che la situazione nel campo profughi è diventata insostenibile. Le autorità israeliane hanno emesso un “ordine di evacuazione” attraverso altoparlanti in dotazione a droni e veicoli militari, costringendo centinaia di residenti a lasciare le loro abitazioni. Questo ordine è arrivato nel contesto di un’operazione militare israeliana nota come ‘Muro di Ferro‘, lanciata con lo scopo di distruggere le reti militari dei gruppi armati nella zona.
Secondo l’esercito israeliano, 13 palestinesi sono stati uccisi dall’inizio di questa operazione, un dato che è stato confermato da un alto funzionario delle Forze di Difesa Israeliane citato dal Times of Israel. L’operazione si sta concentrando specificamente sul Battaglione Jenin, che i militari israeliani considerano un gruppo pericoloso legato a Hamas e alla Jihad islamica palestinese. Questi scontri intensificano una lunga storia di violenze e conflitti nella regione, con un impatto significativo sulla vita dei civili.
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L’evacuazione forzata di Jenin rappresenta un aumento delle violazioni dei diritti umani e aggiunge ulteriore pressione su una popolazione già vulnerabile. Le testimonianze dei residenti parlano di paura e confusione, alimentando un clima di ansia continua tra la popolazione palestinese, di fronte a un’operazione militare che sembra non avere fine.
Richiesta di Tel Aviv per un’estensione della presenza in Libano
Parallelamente alla crisi in Cisgiordania, Israele sta affrontando una situazione di stallo nel sud del Libano. Secondo diversi media israeliani, Tel Aviv ha formalmente richiesto agli Stati Uniti di concedere ulteriori trenta giorni per completare il ritiro delle proprie truppe, già previsto da un accordo siglato con Hezbollah lo scorso novembre. Questo accordo stabiliva un termine di sessanta giorni per il ritiro, fissato per il 27 gennaio.
Israele ha giustificato la richiesta per l’estensione affermando che le forze armate libanesi si stanno dispiegando a un ritmo più lento del previsto. Ciò ha reso necessario il mantenimento delle truppe israeliane per garantire una transizione sicura. Fonti vicine al governo hanno segnalato che anche la Francia e gli Stati Uniti sono coinvolti nelle discussioni relative a questa richiesta, cercando di mediare tra le parti per trovare una soluzione diplomatica.
In particolare, la radio dell’esercito israeliano ha riportato che l’amministrazione Biden è riluttante a concedere una proroga e preferirebbe un ritiro completo delle IDF entro fine settimana. Questo sviluppo sottolinea ulteriormente le tensioni che caratterizzano le relazioni israelo-libanesi, in un clima in cui la stabilità della regione è fortemente influenzata dalle mosse diplomatiche internazionali.