Il centro di permanenza per i rimpatri di Gjader, in Albania, ospita attualmente solo 27 persone, numero molto basso rispetto alla capienza disponibile. La presenza limitata di trattenuti fa discutere sull’effettiva necessità di mantenere attivi trasferimenti in questa struttura. Il Cpr, amministrato dalla prefettura di Roma, è sotto la supervisione dei garanti della libertà personale di Lazio e Roma Capitale, che hanno condotto una visita approfondita per valutare condizioni, servizi e procedure.
I numeri e la gestione attuale del centro di gjader
Il Cpr di Gjader può accogliere fino a 144 persone, con una capienza regolamentare di 96 posti per i rimpatri. Al momento la struttura conta appena 27 trattenuti. La parte destinata ai richiedenti asilo è inattiva e potrebbe ospitare fino a 880 persone, ma resta inutilizzata. Dal suo inizio, ad aprile 2025, il centro ha gestito 140 persone. Di queste, 113 hanno lasciato la struttura: 40 per scadenza del trattenimento, 37 rimpatriati, 15 per problemi sanitari, sette hanno ottenuto protezione internazionale e altri trasferimenti.
I trattenuti provengono prevalentemente da paesi come Algeria, Senegal, Pakistan, India e Ghana. Il numero esiguo suggerisce una gestione del flusso piuttosto ridotta, senza pressione sull’occupazione del centro, in contrasto con altri CPR in Italia.
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Organizzazione e risorse umane nel centro di gjader
Il centro è presidiato da personale della polizia di stato, carabinieri e guardia di finanza, insieme all’ufficio immigrazione dipendente dalla questura di Roma. L’ente gestore, Medihospes, impiega 113 operatori tra area sanitaria, legale e mediatori culturali. Questa dotazione di risorse permette di assicurare un’assistenza adeguata ai trattenuti, almeno secondo quanto rilevato durante la visita dei garanti.
Durante il controllo ci sono stati colloqui con i trattenuti che hanno richiesto di parlare con i garanti della libertà personale, lasciando emergere le condizioni interne e l’efficacia del supporto fornito. È stata inoltre verificata la struttura penitenziaria interna – mai utilizzata – che può ospitare fino a 24 detenuti arrestati per fatti commessi dentro il centro.
Criticità legate alla collocazione e alle condizioni di vita dei trattenuti
Nonostante il basso numero di persone trattenute e la disponibilità di posti nei centri sul territorio italiano, il mantenimento del Cpr in Albania presenta alcune difficoltà. Prima fra tutte, la distanza rende più complessi i rapporti con familiari e legali, che incontrano ostacoli nel raggiungere il centro. Inoltre esistono potenziali rischi per l’assistenza sanitaria, soprattutto se la cura dentro il Cpr non fosse sufficiente o tempestiva.
Altro problema segnalato riguarda la mancanza di opportunità di attività per i trattenuti durante la giornata. Le lunghe ore trascorse senza stimoli o occupazioni possono influire negativamente sul benessere psicofisico delle persone, aggravando la percezione di isolamento legata alla stessa funzione del centro.
Ruolo e competenza dei garanti della libertà personale nella supervisione
Il centro di Gjader dipende direttamente dalla prefettura di Roma, per questo i garanti delle persone private della libertà personale della regione Lazio e di Roma Capitale hanno giurisdizione. Stefano Anastasìa e Valentina Calderone hanno potuto effettuare una visita ufficiale, esaminando ogni aspetto funzionale della struttura e confrontandosi con i dirigenti della polizia di stato e di Medihospes.
Questa supervisione diretta è fondamentale per mantenere sotto controllo le condizioni di trattenimento e garantire il rispetto dei diritti delle persone private della libertà. Il sopralluogo ha permesso di raccogliere osservazioni dettagliate sulle procedure adottate, oltre a verificare come vengono gestite le diverse necessità dei trattenuti.
Il loro intervento mira a evitare situazioni di degrado o abusi, mantenendo un monitoraggio continuo nonostante la collocazione non tradizionale del centro, fuori dai confini nazionali.
Il contesto attuale indica che il trasferimento in Albania di poche persone non appare sostenibile, considerata la disponibilità di posti in strutture italiane e le criticità legate a distanza, assistenza e relazioni familiari. L’attenzione continuerà ad essere rivolta al miglioramento delle condizioni interne e alle procedure di gestione dei rimpatri.