La storia di Piero Pesce, operaio 63enne responsabile della morte del figlio Valerio nel novembre 2022 a Canelli, ha raggiunto un nuovo capitolo ieri con la sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Torino. La corte ha ridotto la pena a 13 anni di reclusione, riconoscendo la seminfermità mentale di Pesce, complicata da numerosi lutti e difficoltà familiari. Questo caso continua a scuotere la comunità, segnando una ferita aperta nel tessuto sociale della zona.
Il contesto del dramma familiare a canelli
La vicenda si è consumata in una notte di novembre del 2022, quando Piero Pesce ha colpito il figlio Valerio con un coltello mentre dormiva nella sua stanza. Dietro questo gesto c’è un lungo periodo di dolorose perdite personali che hanno travolto la famiglia. La madre di Valerio e moglie di Piero era recentemente morta, lasciando Pesce solo ad affrontare la crescente dipendenza del figlio da sostanze. I ricoveri e le ricadute di Valerio avevano creato un clima di tensione e angoscia profonda.
La disperazione e il gesto estremo
Piero, come hanno evidenziato processi e testimonianze, non aveva gli strumenti per gestire una situazione così complicata. La disperazione, accumulata giorno dopo giorno, lo ha spinto a un gesto estremo, che ha chiuso violentemente un ciclo di sofferenze non elaborate. Da allora, Pesce è rinchiuso nel carcere di Biella, dove vive isolato e sotto controllo a causa del rischio che si faccia del male.
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L’udienza d’appello e la difesa di pesce
L’udienza tenutasi a Torino ha avuto uno svolgimento rapido, ma non per questo meno intenso. Pesce si è presentato in aula con l’assistenza dell’avvocato Carla Montarolo, che ha sottolineato come l’imputato viva in uno stato di disorientamento permanente. Secondo la difesa, Piero è tormentato dal rimorso e dal dolore per ciò che è accaduto. La sua sofferenza, ha detto l’avvocata, supera di gran lunga la pena legale inflitta.
La richiesta della difesa
L’avvocato ha spiegato come il gesto sia stato il frutto di una spirale depressiva, alimentata dalle perdite e dall’incapacità di salvare il figlio dalla dipendenza. Questa richiesta di comprensione non ha cancellato la responsabilità ma ha condotto la corte a riconoscere la seminfermità mentale di Pesce al momento del delitto. Il fatto ha inciso sulla decisione di ridurre la pena di due anni rispetto al primo grado.
La vita in carcere e i rapporti familiari di pesce
Dietro le sbarre di Biella, Piero Pesce mantiene un comportamento rispettoso e tranquillo. Il personale penitenziario descrive un uomo educato ma profondamente segnato dai fatti, che vive in uno stato di prostrazione. Non ha contatti con gli altri detenuti e si trova costantemente sotto osservazione per il rischio di suicidio. La sua condizione mentale rimane fragile.
I legami familiari
I legami familiari sono ridotti ai minimi termini. La madre e la suocera di Pesce, che abitano vicino ad Asti, non si sono presentate al processo d’appello per problemi di salute. Nonostante tutto, non hanno abbandonato Piero, e il loro affetto rappresenta l’unico legame rimasto con la famiglia spezzata da questa tragedia. Nessun altro parente si è costituito parte civile, una scelta che ha influenzato la valutazione della corte.
Il peso delle sofferenze accumulate e la nuova condanna
La pena ridotta rappresenta più un segnale di avvio a un percorso di cura che una “vittoria” per l’imputato. Piero Pesce dovrà affrontare il resto della sua vita carceraria tra riflessioni dolorose e un lungo cammino verso la comprensione del proprio gesto. Il dolore per la perdita del figlio e della moglie pesa come un macigno.
Il caso Pesce si presenta come uno dei tanti in cui la fragilità mentale, aggravata da lutti e difficoltà sociali, spinge a gesti drammatici. A Canelli resta una ferita profonda e, mentre la giustizia ha pronunciato la sua sentenza, la comunità continua a fare i conti con lo choc di una tragedia che non si supera facilmente.