Una delle anomalie gravitazionali più enigmatiche del pianeta si trova sotto l’oceano indiano, dove la forza di gravità si riduce in modo significativo rispetto alle altre zone terrestri. Questo fenomeno, noto come “buco gravitazionale”, ha attirato l’attenzione di esperti e ricercatori per anni. Recentemente, due scienziati dell’indian institute of science hanno proposto una spiegazione che lega questa anomalia a processi profondi nella struttura interna della terra.
Le caratteristiche dell’anomalia gravitazionale nell’oceano indiano
La gravità terrestre non è uniforme su tutta la superficie: varia in base alla distribuzione delle masse e alle conformazioni geologiche. Il pianeta assume una forma chiamata geoide, fatta di rilievi e depressioni che influenzano il campo gravitazionale. Nell’oceano indiano, a circa 30 milioni di anni fa, si è formato un vasto punto debole nel campo gravitazionale esteso per circa tre milioni di chilometri quadrati. Lì, la forza di attrazione risulta molto più debole rispetto alle aree circostanti.
Un’area di grande depressione marina
Questa zona coincide con una grande depressione del fondo marino, che ha fatto crollare localmente anche il livello del mare, vicino alla punta del subcontinente indiano. Indagini effettuate con mezzi navali, misurazioni satellitari e studi geofisici hanno documentato un effetto di “tiro alla fune” tra la gravità ridotta e la massa geologica circostante. Gli studiosi hanno cercato a lungo le ragioni di questa forma irregolare, senza però riuscire a individuare la causa precisa.
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Ipotesi scientifiche sull’origine profonda dell’anomalia
I ricercatori dell’indian institute of science hanno suggerito che l’origine del buco gravitazionale risalga a processi geologici profondi, oltre i mille chilometri di profondità sotto la crosta terrestre. Più di trent’anni fa un antico oceano scomparve per subduzione sotto il continente africano. La sua crosta fredda e densa si è insediata in profondità nel mantello terrestre.
Alterazioni geologiche e il loro effetto sulla gravità
Questa massa subduttiva avrebbe provocato l’innalzamento di rocce fuse più calde, alterando la densità delle zone circostanti e riducendo l’attrazione gravitazionale in superficie. Modelli al calcolatore hanno mostrato come questa struttura profonda possa influire sul campo gravitazionale, generando il grande “buco” osservato.
Tuttavia, la ricerca non ha chiuso il dibattito sulla questione. Data la complessità delle dinamiche interne del pianeta e la difficoltà nel raccogliere dati diretti così profondi, serviranno ulteriori rilevamenti e nuovi modelli per confermare o smentire queste ipotesi.
Gli strumenti di osservazione e le sfide future
Le misurazioni satellitari hanno fornito la prima macchia precisa del fenomeno, registrando variazioni nel campo gravitazionale e nella topografia marina legata al livello del mare. Le campagne navali che si sono susseguite hanno mappato il fondo oceanico, confermando l’esistenza di una vasta depressione.
Sebbene la tecnologia sondi zone sempre più profonde, giungere a dati concreti su strutture a mille chilometri di profondità resta una grande sfida. I modelli teorici rappresentano un tentativo di legare fenomeni di superficie a processi geologici profondi, ma senza dati diretti rimangono interpretazioni.
Le prossime esplorazioni geofisiche e studi multidisciplinari potrebbero fornire dettagli più precisi sui movimenti del mantello terrestre e sulla natura dei materiali presenti, facendo luce sui processi alla base dell’anomalia gravitazionale nell’oceano indiano. Fino ad allora, la zona rimane uno fra i misteri più significativi della geofisica planetaria.