La vicenda che ha sconvolto la famiglia Scalamandrè a San Biagio di Genova si è conclusa con una sentenza della corte d’assise d’appello di Milano, dopo lunghi anni di processo. I due fratelli imputati per la morte del padre, avvenuta nel 2020, hanno ricevuto una riduzione significativa delle pene grazie al riconoscimento della provocazione accumulata nel tempo. Il provvedimento ha posto fine a una complessa serie di tensioni familiari e a una battaglia legale durata cinque anni e sei sentenze.
I fatti del delitto e il contesto familiare a san biagio
Il 10 agosto 2020, nella casa di San Biagio, quartiere di Genova, è scoppiata una violenta lite tra Pasquale Scalamandrè e i suoi due figli, Alessio e Simone. Pasquale aveva violato un divieto di avvicinamento, entrando nella propria abitazione nonostante fosse stato allontanato dalla famiglia. La situazione si era aggravata da tempo, con anni di minacce rivolte alla madre dei ragazzi e tensioni crescenti tra lui e i figli.
Quella giornata è stata fatale quando Pasquale, deciso a incontrare Alessio, lo ha costretto a modificare una denuncia che il figlio maggiore aveva sporto per maltrattamenti nei suoi confronti e verso la madre. Il padre ha provato a trascinare Alessio al commissariato e si è scatenata una colluttazione che ha portato al suo decesso. Simone, il fratello minore, è intervenuto per difendere Alessio e insieme hanno causato la morte di Pasquale.
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La sentenza di appello e lo sconto di pena concesso
La corte d’assise d’appello di Milano ha emesso la sentenza dopo una lunga istruttoria e valutazione delle prove. Alessio Scalamandrè è stato condannato a dodici anni di reclusione, mentre Simone a sei anni e due mesi. La sentenza ha riconosciuto l’attenuante della provocazione per accumulo, un dato cruciale per la riduzione del carcere.
I giudici hanno definito “verosimile” la versione del figlio maggiore, che ha raccontato senza abbellimenti gli eventi della giornata dell’omicidio. Alessio ha mantenuto un atteggiamento sincero, ammettendo la colluttazione ma senza tentare di giustificare il proprio comportamento con menzogne o condizioni estreme. L’attenzione è stata posta soprattutto sul clima famigliare teso da anni, con il padre che non interveniva solo quel giorno, ma che aveva minacciato e creato disagio in modo frequente.
Le tensioni familiari e il ruolo della madre nella vicenda
Una parte importante della vicenda è rappresentata dagli abusi psichici e minacce che Pasquale Scalamandrè avrebbe rivolto alla moglie nel corso degli anni. La madre dei ragazzi ha dovuto abbandonare la casa familiare, trovando rifugio in una struttura protetta in Sardegna per sottrarsi alle continue aggressioni.
Questi eventi hanno pesato molto sul rapporto tra i figli e il padre, generando una situazione di stress, paura e frustrazione che ha causato un accumulo di tensioni esplose nel dramma del 2020. Il desiderio di Pasquale di cancellare le accuse con la forza ha innescato la reazione violenta dei figli.
Il percorso giudiziario e le sei sentenze che hanno accompagnato il caso
Il processo per l’omicidio di Pasquale Scalamandrè si è sviluppato in un contesto giudiziario complesso, riassumibile in sei sentenze pronunciate nell’arco di cinque anni. Il dibattito si è concentrato su responsabilità, dinamica dei fatti e attenuanti.
Le diverse fasi del procedimento hanno messo in luce dinamiche familiari controverse e l’incapacità delle autorità di prevenire l’escalation di violenza che ha portato alla tragedia. La definitiva sentenza di appello ha confermato la natura del fatto e accolto la tesi della provocazione ripetuta, scontando in modo significativamente la pena dei fratelli.
Questa decisione chiude un capitolo giudiziario di cinque anni, lasciando sullo sfondo la storia di una famiglia resa vulnerabile dalla violenza interna e da un conflitto mai risolto.