La guerra in Iran ha costretto una giovane famiglia a un viaggio estenuante per mettersi in salvo. Salvatore Politi, medico ginecologo parmigiano, è riuscito a riabbracciare la compagna e il figlio piccolo in Azerbaijan, dopo giorni di ansia e attese al confine. La loro storia racconta la drammaticità di chi lascia tutto per scappare dai bombardamenti e dagli scontri in una terra ormai ostile.
Un viaggio difficile per allontanarsi dalla guerra
La compagna di Salvatore, un’architetta iraniana di 36 anni, ha affrontato un’odissea per uscire dall’Iran mentre le bombe cadevano su Teheran. Con sé aveva il bimbo di appena 18 mesi, stremato dopo ore di viaggio. La coppia si è finalmente incontrata a Baku, la capitale dell’Azerbaijan, dove passeranno la notte prima di prendere il volo verso l’Italia.
I controlli al confine sono durati quasi sette ore. Mamma e bambino sono stati tenuti sotto stretto controllo, assistiti costantemente, senza mai essere lasciati soli. Dietro questa complessa operazione si cela il lavoro di molte persone, tra cui la scorta dei carabinieri italiani e i funzionari delle ambasciate a Teheran e Baku. Serve una perfetta sincronizzazione tra permessi di uscita e ingressi nei diversi Paesi per evitare ostacoli.
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Gli altri italiani evacuati dall’Iran hanno contribuito a sostenere la famiglia nei momenti più difficili. Il viaggio è stato molto provante per tutti, con lunghi momenti di attesa e continui timori. La situazione sul posto rimane instabile e pericolosa, con le famiglie sfollate e la paura costante per la propria incolumità.
L’impatto sulle emozioni e sul futuro della famiglia
Quando la famiglia si è ricongiunta, le emozioni sono state miste. La felicità per essersi ritrovati si mescola alla fatica e al dolore. Salvatore racconta che la compagna è visibilmente provata, e il piccolo si è addormentato subito, esausto. La loro priorità ora è recuperare energie e provare a tornare a una routine normale.
Il medico ha voluto anche sottolineare il ruolo fondamentale dell’aiuto ricevuto da parte di tutte le persone coinvolte nell’evacuazione. Che si tratti dei carabinieri, dell’ambasciata o di altri italiani, senza questo supporto sarebbe stato impossibile uscire dall’Iran. Le tensioni non sono finite: la famiglia lasciata è ancora nel paese, sfollata e costretta a subire i bombardamenti.
Salvatore ha dovuto affrontare qualche attacco in rete da chi, senza conoscere i fatti, giudicava la scelta di partire dal Paese in guerra. Lui stesso sottolinea che mai ha dubitato della sicurezza del viaggio e non ha mai voluto mettere a rischio moglie e figlio. L’angoscia per la sorte dei parenti che sono rimasti in Iran pesa molto.
Il contesto attuale in iran e le difficoltà per i civili
L’Iran vive ormai da settimane una grave crisi dovuta a conflitti internazionali e tensioni interne. Le città più grandi, compresa Teheran, sono sotto minaccia di bombardamenti. La popolazione civile si trova in una condizione difficile, con sfollamenti e scarsi mezzi di protezione.
Le evacuazioni organizzate da altri Paesi cercano di garantire salvezza ai cittadini stranieri e a chi rischia di rimanere intrappolato nei combattimenti. Non sempre però la procedura è semplice. Permessi, visti, controlli sanitari e di sicurezza complicano l’uscita dal territorio.
La famiglia di Salvatore rappresenta un esempio di chi ha dovuto scappare proprio quando la situazione stava peggiorando. Lo sforzo di organizzare il viaggio e ottenere i documenti necessari è stato enorme. L’esperienza raccontata mette in luce le difficoltà che affrontano in tanti dietro le notizie di guerra.
Una storia di dolore e speranza a pochi passi dall’Europa
La vicenda di questa famiglia mostra il volto umano delle crisi internazionali. Salvatore Politi e la compagna sono riusciti a tornare insieme e a mettere in salvo il figlio, ma restano legati ad altri affetti costretti a vivere in situazioni di pericolo quotidiano.
La capitale dell’Azerbaijan si è trasformata per loro in una tappa decisiva prima del ritorno in Italia. Lo stato d’animo è complicato: non c’è solo la gioia di riabbracciarsi, ma anche il peso di tutto ciò che è stato lasciato dietro, e la consapevolezza che molto resta da affrontare.
Continua l’emergenza per le popolazioni coinvolte nella guerra, con migliaia di famiglie spostate e incalzate dalla paura. Storie come questa ricordano il costo umano dei conflitti e la necessità di aiuti concreti per chi attraversa queste prove estreme.