Riforma della disabilità: sperimentazione in nove province tra difficoltà e criticità emerse dal 2025

Riforma della disabilità: sperimentazione in nove province tra difficoltà e criticità emerse dal 2025

La riforma della disabilità, sperimentata dal 2025 in nove province italiane tra cui Brescia e Firenze, mostra criticità operative e burocratiche che complicano l’accesso ai diritti per cittadini e operatori.
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La riforma della disabilità, avviata nel 2025 in nove province italiane, mira a semplificare l’accertamento medico ma incontra gravi difficoltà operative, causando ritardi e complicazioni per utenti e operatori, con patronati esclusi e richieste di modifiche da parte di Inca. - Gaeta.it

La riforma della disabilità, entrata in fase sperimentale il primo gennaio 2025 in nove province italiane, sta mostrando problemi significativi nella sua applicazione pratica. Promossa dalla legge n. 227 del 2021 e dal decreto legislativo n. 62 del 2024, questa normativa mira a semplificare la valutazione della disabilità attraverso un nuovo modello di accertamento medico. Tuttavia, i riscontri provenienti dalle aree coinvolte indicano che i cambiamenti non hanno ancora prodotto i benefici attesi, creando ritardi e complicazioni per gli utenti e gli operatori coinvolti. Il presidente di Inca, il patronato della Cgil, ha sottolineato alcune delle difficoltà più rilevanti, in particolare l’esclusione dei patronati dal processo e la carenza di dati essenziali per l’istruttoria.

Il nuovo modello di accertamento della disabilità: cosa prevede la riforma

La riforma tenta di semplificare una procedura storicamente complessa, riducendo il numero di visite mediche necessarie per il riconoscimento della disabilità. Prima, il percorso prevedeva accertamenti ripetuti e distinti; ora è stata introdotta una sola visita, chiamata valutazione di base, nella quale vengono accertate tutte le condizioni rilevanti. L’avvio del procedimento deve partire dal certificato medico introduttivo, mandato da medici accreditati, senza che il cittadino debba presentare domande separate oppure affidarsi agli enti di patronato, tradizionalmente impegnati nella tutela dei disabili e delle loro famiglie. Tale modifica dovrebbe velocizzare l’iter ma, di fatto, come evidenziano operatori e utenti, il sistema non sta reggendo l’urto della pratica.

In concreto, le commissioni mediche, spesso coordinate dall’Inps, continuano a svolgere un ruolo centrale per la valutazione della gravità della disabilità e la conseguente erogazione di prestazioni economiche e servizi assistenziali. A seconda del grado riconosciuto, lo Stato assegna una serie di agevolazioni economiche e condizioni favorevoli sul lavoro e a scuola, come permessi e congedi. L’intento della riforma era di accorpare e semplificare questo processo, risparmiando tempo agli utenti e riducendo oneri amministrativi. Invece, la nuova modalità sta incontrando difficoltà organizzative e operative, con un impatto negativo su chi dovrebbe beneficiarne.

Problematiche emerse durante la fase sperimentale nelle province coinvolte

Dal primo gennaio 2025, la sperimentazione si svolge in nove province: Brescia, Catanzaro, Firenze, Forlì-Cesena, Frosinone, Perugia, Salerno, Sassari e Trieste. Inca, in collaborazione con l’Inps, segue da vicino questa fase. Il presidente Pagliaro ha evidenziato come la riforma, presentata come una semplificazione, in realtà stia complicando l’accesso ai diritti per le persone con disabilità. La modalità di accertamento unica, con l’eliminazione della possibilità per il cittadino di presentare una domanda tramite patronato, ha creato problemi soprattutto per i medici certificatori, che si trovano a gestire pratiche complesse senza le risorse e le competenze necessarie.

L’assenza dei regolamenti attuativi rappresenta un ulteriore ostacolo. Senza questi, la fase sanitaria di accertamento resta sostanzialmente invariata rispetto al passato. Lo stesso Inps opera in condizioni difficili, privo di linee guida chiare, con la necessità di incrementare il personale medico e sociale e dotare le strutture di ambienti adeguati per le visite. A questo punto si assiste a un blocco che penalizza non solo i cittadini ma anche gli enti coinvolti nella gestione del processo.

Il dato sulle richieste di valutazione è significativo: rispetto al 2024 si registra una riduzione, colpa dei ritardi e delle difficoltà burocratiche che scoraggiano chi dovrebbe ottenere provvidenze e assistenza. Chi prova a fare la procedura in autonomia spesso presenta domande incomplete, mentre chi si rivolge ai patronati riceve un supporto tecnico importante. Questo paradosso accentua la critica principale: l’allontanamento dei patronati dal percorso, pur essendo ancora centrali per gli utenti.

Il ruolo di inca e le richieste emerse durante la sperimentazione

Inca resta un interlocutore chiave nell’aggiornamento e monitoraggio della riforma. Con l’Inps, ha raccolto segnalazioni e critiche che hanno portato ad alcuni aggiustamenti operativi. Tra le criticità spicca soprattutto la mancanza di dati socio-economici fondamentali. Su 36 mila certificati inviati nel periodo di sperimentazione, solo 12 mila presentano le informazioni necessarie, un problema che rallenta ulteriormente le pratiche.

I patronati rimangono il punto di accesso principale per la raccolta di questi dati, dato che il 90% delle persone si rivolge a loro per compilare la documentazione. Tuttavia, la riforma li ha di fatto esclusi dalla procedura, peggiorando la situazione. Dopo le difficoltà iniziali, il raggruppamento CE-PA, che include Inca, ha chiesto un incontro al ministero delle Disabilità con l’obiettivo di apportare modifiche e migliorare l’efficacia del sistema.

Inca propone il ritorno alla vecchia modalità per cui il certificato medico introduttivo non valga da avvio automatico al procedimento amministrativo. Si chiede di ripristinare la possibilità per il cittadino di presentare domanda formale, anche attraverso il patronato, ripristinando così il ruolo di queste strutture nel garantire un’assistenza qualificata e continua. La richiesta punta a garantire un servizio più accessibile e adeguato per chi vive con disabilità, in linea con l’esperienza accumulata negli anni da questi enti.

Le conseguenze per i cittadini e gli operatori sanitari nelle province pilota

La sperimentazione in corso ha evidenziato effetti concreti sul terreno. Per i cittadini più fragili le nuove regole rappresentano un ostacolo in più, perché la procedura richiede conoscenze specifiche e tempi dilatati. Molti pazienti e famiglie si trovano a dover affrontare un iter più complesso, nonché una maggiore incertezza sull’esito delle domande.

Per i medici coinvolti il carico di lavoro è aumentato in modo significativo. Oltre alle visite, devono gestire pratiche amministrative più articolate, spesso senza il supporto di personale adeguato. Le visite uniche richiedono conoscenze approfondite di diverse patologie e un tempo che non sempre è disponibile, aggravando la pressione sulle strutture sanitarie.

Il rischio concreto è quindi che il sistema, nato per facilitare il riconoscimento della disabilità, finisca per creare nuove barriere. Inoltre, la mancanza di un coordinamento efficace tra enti e istituzioni contribuisce alla dilatazione dei tempi e all’aumento dei costi, con ricadute negative sul diritto degli assistiti ad ottenere prestazioni e tutele in tempi ragionevoli.

Qualunque intervento o corretto deve tenere conto di queste difficoltà emerse durante la sperimentazione, che mette alla prova la sostenibilità di una riforma che ancora non riesce a tradursi in un vantaggio pratico per chi ne avrebbe bisogno.

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