Ricostruzione delle modalità dell'omicidio di Chiara Poggi attraverso l'analisi delle macchie di sangue a Garlasco

Ricostruzione delle modalità dell’omicidio di Chiara Poggi attraverso l’analisi delle macchie di sangue a Garlasco

L’omicidio di Chiara Poggi a Garlasco nel 2007 ha visto la condanna definitiva di Alberto Stasi a 16 anni, grazie all’analisi medico-legale e alla ricostruzione dettagliata della scena del crimine.
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L’omicidio di Chiara Poggi a Garlasco nel 2007 ha visto la condanna definitiva di Alberto Stasi, basata su dettagliate analisi medico-legali e la ricostruzione della scena del crimine che hanno evidenziato un rapporto di fiducia tradito e una dinamica precisa del delitto. - Gaeta.it

L’omicidio di Chiara Poggi a Garlasco, avvenuto il 13 agosto 2007, è uno dei casi giudiziari più complessi e discussi degli ultimi anni in Italia. Le indagini si sono concentrate soprattutto sulla ricostruzione precisa della dinamica del delitto, utilizzando tecniche scientifiche avanzate e consulenze medico-legali. La Corte d’assise d’appello, nel processo di secondo grado bis che si è concluso nel 2014, ha confermato la condanna di Alberto Stasi a 16 anni di carcere, basando la sentenza anche sulle evidenze emerse dall’analisi delle tracce ematiche presenti sulla scena del crimine.

La scena del delitto: il luogo e il momento dell’aggressione

La villa di Garlasco dove è avvenuto il delitto è stata al centro di una rilevazione meticolosa, effettuata dai periti incaricati durante il processo di appello bis. La Corte ha ordinato una ricostruzione dettagliata del luogo, che ha incluso anche i primi gradini della scala che conduce alla cantina. L’obiettivo era sistemare con precisione le macchie di sangue individuate sulla pavimentazione, per comprendere come si siano svolti i fatti.

Secondo quanto ricostruito, Chiara Poggi venne colpita fin dal momento in cui entrò in casa, vicino alla base delle scale che portano al piano superiore. Dopo l’aggressione iniziale, il suo corpo è stato trascinato lungo il corridoio fino alla porta a libro della cantina. A quel punto il corpo è stato fatto cadere giù per le scale. La disposizione delle tracce di sangue ha permesso di delineare una sequenza degli eventi abbastanza netta, con movimenti ben delimitati nello spazio interno dell’abitazione.

Quel mattino Chiara aveva aperto il cancello e la porta di casa senza preoccupazioni. Aveva persino disattivato l’allarme, segno di grande fiducia nei confronti della persona che aspettava. Non a caso, secondo quanto emerso, accolse l’aggressore in pigiama, mostrando un rapporto di confidenza evidente con il visitatore.

Un rapporto di fiducia tradito

L’assenza di segni di lotta o di tentativi di difesa da parte di Chiara Poggi rafforza l’ipotesi che la giovane conoscesse molto bene l’aggressore e si fidasse di lui. Non sono state trovate prove di effrazioni o di movimenti sospetti nella casa, e neppure tracce compatibili con una rapina o una violenza casuale.

I colpi furono inferti con un oggetto contundente non ritrovato, probabilmente un martello o uno strumento da camino. L’aggressore scelse di colpire alla testa con decisione e da vicino, proprio come si farebbe all’interno di un rapporto intimo, in cui la violenza emotiva si intreccia con quella fisica. La posizione e la direzione dei colpi, considerando la disposizione delle macchie di sangue, indicano una conoscenza approfondita della vittima e della casa.

La dinamica del corpo trascinato

L’atto di trascinare il corpo verso la cantina e gettarlo giù per le scale testimonia la familiarità con l’abitazione, un dettaglio non secondario per capire la dinamica del delitto. Altri elementi medico-legali e tecnici indicano che l’aggressione durò solo pochi minuti, un tempo sufficiente per provocare ferite letali e spostare la vittima negli ambienti chiave.

l’analisi medico-legale e la conferma della colpevolezza di Alberto Stasi

Durante l’appello bis sono stati eseguiti nuovi esami medico-legali che hanno mostrato la brevità dell’aggressione e la rapidità con cui Chiara venne uccisa. La presenza di una traccia ematica alla base della scala, dove il corpo fu buttato, conferma che la scena è stata modificata durante il crimine, ma in modo coerente con quanto prevedibile da chi conoscesse la disposizione della casa.

Il quadro indiziario raccolto durante il processo ha escluso che Alberto Stasi potesse essere entrato in casa scoprendo il cadavere per caso. Non sono stati trovati segni di sangue sulle sue scarpe o sui tappetini dell’auto, particolari rilevanti perché avrebbero potuto emergere subito se la sua versione fosse stata vera. La Corte d’assise ha giustificato la condanna proprio sulla base del fatto che la descrizione dello studente, secondo la sentenza definitiva, rispecchiava quella di chi aveva ucciso la fidanzata e poi simulato il ritrovamento.

La condanna a 16 anni di carcere di Alberto Stasi, confermata dalla Cassazione, è frutto di un lungo processo durato anni, in cui la ricostruzione della scena e la disposizione delle tracce ematiche hanno avuto un peso decisivo per chiarire le azioni di quella tragica mattina di agosto.

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