Una vicenda di violenze familiari e collaborazioni con la giustizia emerge nel reggino, dove una giovane donna ha subito abusi non solo da un branco legato alla ’ndrangheta ma anche da parenti stretti che volevano impedirle di raccontare la verità . Le indagini condotte da Polizia e carabinieri hanno portato all’arresto domiciliare della zia e al divieto di avvicinamento per il cugino, entrambi accusati di violenze ripetute e minacce per obbligare la ragazza a ritrattare la sua denuncia.
La collaborazione con la procura e le conseguenze familiari
La donna, che aveva denunciato alla Procura della Repubblica di Palmi gli abusi subiti dal branco, ha trovato nella sua stessa famiglia nemici pronti a ostacolarla. La zia di 78 anni e il figlio, di 47, si sono resi protagonisti di violenze fisiche e psicologiche ripetute contro di lei. Le aggressioni, sfociate anche in lesioni, avevano l’obiettivo di farle cambiare versione e spegnere la sua denuncia contro gli atti criminali perpetrati da giovani legati alla criminalità organizzata della zona. La pressione esercitata sul suo corpo e la sua mente ha rivelato una dinamica di intolleranza per chi aveva collaborato con le autorità .
Le misure cautelari emesse il 18 aprile scorso dal gip di Palmi sono state eseguite dagli agenti del commissariato locale e dai carabinieri, anche con il supporto di un’unità cinofila. Gli arresti sono stati notificati nelle abitazioni di Castellace di Oppido Mamertina e di Scido, comuni vicini tra loro nel reggino, scenari dove si sono svolti questi drammatici eventi familiari.
Il branco di abusi e il processo concluso
L’episodio fa parte di un quadro piĂ¹ ampio di violenze. La ragazza vittima, insieme a un’altra minorenne residente a Seminara, aveva subito abusi da un gruppo di giovani nel periodo compreso tra gennaio 2022 e novembre 2023. Il branco, parte del quale comprendeva figli di famiglie legate alla ’ndrangheta locale, aveva registrato filmati delle aggressioni da usare come forma di ricatto contro le vittime.
Il primo grado del processo, chiuso a marzo 2025, ha visto condanne per sei imputati con pene da 5 a 13 anni di reclusione. Tuttavia, sette persone accusate sono state assolte nell’ambito del procedimento. Le sentenze hanno fatto emergere in modo chiaro l’organizzazione criminale e l’abusività delle azioni messe in atto su due ragazze giovanissime.
L’indagine sulle violenze della zia e del cugino
L’ordinanza cautelare contro la zia e il cugino è nata dalle attività investigative che hanno raccolto prove sull’intento persecutorio verso la vittima della famiglia. La Polizia e i carabinieri hanno documentato diversi episodi in cui la donna subiva minacce e maltrattamenti volti a farle rinunciare alla denuncia.
L’accusa ha aggravato le contestazioni con il motivo abietto: i familiari erano mossi da odio e risentimento verso la ragazza per aver rapporti con la giustizia. Nei momenti piĂ¹ violenti, la giovane sarebbe stata colpita con una corda, utilizzata come frusta, dopo essere stata attinta in una trappola. Questi fatti acuiscono la gravitĂ dell’intera vicenda, evidenziando un clima intimidatorio interno alla famiglia, che fa da spalla al potere criminale esterno al branco.
La comunitĂ e gli sviluppi del caso
La vicenda resta sotto osservazione, mentre la comunità segue da vicino gli sviluppi di un caso che intreccia interessi mafiosi, abusi giovanili e la difficile scelta di chi sceglie di non tacere di fronte alle violenze. I provvedimenti inviati ai responsabili avvicinano l’accesso alla giustizia e la tutela delle vittime in territori segnati da intimidazioni pesanti.