La guerra in Ucraina ha cambiato molte vite, tra queste anche quella di don Roman Vynnychuk, giovane sacerdote della Chiesa greco-cattolica ucraina. Il suo impegno come cappellano militare in un ospedale dell’Ucraina occidentale racconta di presenza e assistenza spirituale in momenti difficili. Tra feriti di guerra, uomini e donne, e personale medico, don Roman svolge un ruolo fondamentale, offrendo non solo supporto religioso ma anche aiuto pratico e attività culturali.
Un percorso dalla parrocchia all’ospedale militare
Don Roman Vynnychuk è diventato sacerdote nel 2021 e inizialmente ha lavorato in parrocchia come assistente. Con lo scoppio del conflitto e l’invasione russa, ha deciso di mettere da parte la paura e rispondere alla chiamata a servire i militari feriti. «Pur senza esperienza, ho sentito il bisogno di essere accanto a chi combatte e soffre», racconta, accettando la nuova responsabilità.
Il passaggio dal servizio parrocchiale al cappellano militare è stato un cambiamento netto e impegnativo. La realtà dell’ospedale militare non è una comunità omogenea ma un insieme di persone con storie e confessioni diverse. Don Roman ha imparato ad adattarsi velocemente, trovando la naturalezza necessaria per comunicare, anche con chi vive condizioni drammatiche a causa delle ferite. La sua disponibilità si è tradotta nell’assistenza quotidiana, da celebrazione di messe fino all’offerta di conforto spirituale e supporto pratico in situazioni complesse.
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Una presenza religiosa e umana
Nel lavoro in ospedale, don Roman svolge funzioni che vanno oltre la semplice celebrazione religiosa. Amministra i sacramenti come la confessione, partecipa a momenti di preghiera e si prende cura di ogni persona presente, siano pazienti o operatori sanitari. Essendo la struttura frequentata da militari provenienti da tutta l’Ucraina e appartenenti a confessioni diverse, il suo servizio è inclusivo e attento a rispettare ogni fede.
Il cappellano si occupa anche di bisogni concreti: offre aiuto materiale a chi è in difficoltà, sia con vestiti che con cibo, e promuove attività educative e culturali per coinvolgere le persone e dare loro uno spazio di distrazione e apprendimento. Nei reparti passano continuamente pazienti, alcuni con ferite gravi e amputazioni, e la presenza del sacerdote rappresenta un punto di riferimento stabile in mezzo alle incertezze della degenza. Don Roman sottolinea come la sua missione sia soprattutto essere accanto a chi soffre, «senza forzare il dialogo ma rispettando i tempi di ognuno».
Il valore dell’ascolto e del rispetto per i militari
L’esperienza di don Roman ha portato a riconoscere il valore dell’ascolto e della vicinanza. I soldati non cercano compassione ma rispetto e normalità nei rapporti. La sua indicazione è quella di trattarli come persone comuni, con gratitudine e senza pietismi, valorizzando il contributo che offrono per la patria.
Ha imparato a comunicare in modo autentico, evitando distanze o paure iniziali, e si accorge della riconoscenza che scatta quando qualcuno si fa presente davvero. Per i militari feriti le giornate sono difficili, ma anche in ospedale ci sono sprazzi di determinazione e, a volte, persino modelli di ripresa come il caso di un soldato con ambe gambe amputate che ha iniziato a dare supporto agli altri durante la riabilitazione.
Tra speranza e realtà: sfide durissime
Non tutti riescono a rialzarsi facilmente da ferite e traumi. Alcuni militari si trovano in stati di disperazione e solo con il supporto di professionisti come psicologi possono recuperare un equilibrio psicofisico. Don Roman riconosce che la guerra lascia ferite profonde anche nell’anima.
Per lui la fede in Dio resta un sostegno indispensabile, la fonte di forza per affrontare storie di sofferenza, non solo di militari ma anche di civili e bambini coinvolti nel conflitto. Crede che la guerra un giorno finirà e che a quel punto sarà cruciale commemorare il sacrificio di chi ha difeso la patria.
L’anno giubilare, dedicato a «pellegrini della speranza», porta a riflettere sull’attuale situazione in Ucraina. Don Roman vede nella determinazione del popolo ucraino e nella solidarietà internazionale segni concreti di resistenza e speranza. La preghiera, per lui, rappresenta un’opera che ogni cristiano può portare avanti per sostenere il Paese e i militari impegnati sul campo.