Quasi 4mila persone coinvolte nel progetto Test in the City per diagnosi epatiti e HIV

Quasi 4mila persone coinvolte nel progetto Test in the City per diagnosi epatiti e HIV

Il progetto Test in the City, promosso da Gilead con Relab e Fast Track Cities italiane, ha raggiunto quasi 4mila persone a rischio per HIV ed epatiti, favorendo diagnosi precoci e accompagnamento alle cure.
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Il progetto "Test in the City" promuove test gratuiti per HIV, epatiti e altre infezioni nelle popolazioni a rischio, facilitando diagnosi precoci e accompagnamento alle cure, con particolare attenzione a migranti e persone vulnerabili nelle città italiane. - Gaeta.it

Il progetto Test in the City, promosso da Gilead insieme a Relab e alla rete delle Fast Track Cities italiane, ha raggiunto quasi 4mila persone nei primi mesi di attività. L’iniziativa si concentra sulla promozione di test gratuiti per epatiti, HIV e altre infezioni sessualmente trasmissibili soprattutto nelle popolazioni più a rischio. I dati raccolti mostrano come le diagnosi precoci ancora rivestano un ruolo cruciale per un intervento tempestivo, specie in gruppi sociali con difficoltà di accesso ai servizi sanitari.

Obiettivi e metodo del progetto test in the city

Test in the City nasce per individuare e raggiungere le persone più vulnerabili alle infezioni da epatiti e HIV, con particolare attenzione a migranti e consumatori di sostanze. Il progetto si è sviluppato nelle Fast Track Cities italiane, realtà metropolitane già attive nella prevenzione e nel contrasto di queste malattie. Paolo Meli, pedagogista e coordinatore dell’iniziativa, spiega che sono stati scelti luoghi e contesti specifici dove incontrare direttamente i target. Questi ambienti variano dai centri urbani frequentati da giovani e migranti, fino agli spazi in città dove abitualmente si offre assistenza o si svolgono attività di prevenzione.

Il progetto ha inoltre appoggiato la campagna attraverso un sito web dedicato e un’attività diffusa sui social per supportare l’informazione e aumentare la raggiungibilità. Grazie a questi strumenti è stato possibile raggiungere anche persone che di norma non si sottopongono a test o non rientrano nelle categorie più note per la prevenzione. In totale, su circa 4mila contatti, 3.500 appartenevano al target definito, mentre gli altri erano utenti più giovani, non consumatori oppure italiani presenti nei luoghi di offerta del test.

Dati sulle diagnosi e accompagnamento alle cure

I risultati raccolti indicano che le infezioni rilevate nelle persone testate sono importanti. Il tasso di positività complessivo si attesta intorno al 2,48% considerando HIV, epatite B e epatite C. Questo valore rispecchia una presenza significativa delle infezioni all’interno dei gruppi esaminati.

Un dato cruciale riguarda il percorso successivo al test preliminare: secondo Meli, tutte le persone risultate positive sono state accompagnate verso il test di conferma e seguite nel trattamento o nel monitoraggio. L’esperienza delle organizzazioni del terzo settore si è mostrata determinante in questa fase, perché ha garantito un supporto adeguato e un collegamento costante con il servizio sanitario.

Il feedback raccolto evidenzia che i controlli successivi hanno confermato nella maggior parte dei casi le diagnosi iniziali. Le persone positive ora sono inserite in percorsi di assistenza che includono la somministrazione delle terapie e programmi di follow-up.

Difficoltà e barriere nell’accesso ai servizi sanitari

Molti ostacoli complicano l’accesso precoce alle cure per chi risulta positivo a HIV o epatiti. Tra questi, Meli cita alcuni fattori concreti che rallentano o impediscono il contatto con le strutture sanitarie.

La barriera linguistica riguarda soprattutto i migranti, che non sempre trovano personale in grado di comunicare bene nella loro lingua o non sono informati correttamente sulle possibilità che hanno. Anche la cultura e lo stile di vita di alcune persone possono rappresentare un limite, così come la presenza o meno di una stabilità abitativa. Chi vive senza casa o in situazioni precarie rischia di perdere i riferimenti sanitari necessari.

In più, la presenza di un sistema di servizi a volte poco accessibile o burocraticamente complesso manda via molti potenziali utenti. Il progetto dimostra come questi limiti restino un problema concreto in diverse città italiane e debbano essere affrontati con strategie mirate a facilitare il primo contatto e il mantenimento nel percorso di cura.

Indicazioni per future politiche sanitarie

Alla luce dei dati raccolti e delle esperienze emerse, il progetto sollecita una modifica nei programmi di sanità pubblica rivolti ai gruppi più a rischio. Secondo il coordinatore Paolo Meli, emerge la necessità di politiche che siano in grado di ridurre le barriere d’accesso e offrire strumenti più efficaci per la diagnosi precoce e il trattamento tempestivo delle infezioni.

L’iniziativa ha confermato e quantificato problemi già conosciuti dagli operatori sul campo; ora i numeri offrono una base più solida per incentivare interventi mirati. Il coinvolgimento attivo delle organizzazioni di terzo settore si mostra indispensabile per profondità e continuità degli interventi.

Test in the City rappresenta quindi un punto di partenza per rafforzare la rete di prevenzione e cura in città italiane ad alta incidenza, con un’attenzione particolare alle fragilità sociali.

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