Proteste ad Arborio contro maxi allevamento intensivo: manganellate e caldo torrido non fermano attiviste

Proteste ad Arborio contro maxi allevamento intensivo: manganellate e caldo torrido non fermano attiviste

A Arborio, la protesta pacifica del collettivo Galline in fuga contro il maxi allevamento intensivo da 275.000 galline ovaiole ha incontrato una dura repressione delle forze dell’ordine e restrizioni ai diritti di manifestare.
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Ad Arborio (Vercelli), la protesta pacifica contro un maxi allevamento intensivo di 275.000 galline ha subito una dura repressione da parte delle forze dell’ordine, sollevando dubbi sul rispetto del diritto di manifestare e sull’impatto ambientale del progetto. - Gaeta.it

Le recenti manifestazioni ad Arborio, in provincia di Vercelli, hanno acceso i riflettori su un impianto di allevamento intensivo di galline ovaiole da 275.000 capi. Un gruppo di attiviste ha organizzato un presidio pacifico davanti al cantiere del nuovo stabilimento, scatenando un pesante intervento delle forze dell’ordine. I fatti, accaduti tra il 28 e il 29 giugno 2025, hanno sollevato interrogativi profondi sulla gestione delle proteste e sulla tutela del diritto a manifestare, mentre il progetto dell’allevamento rimane ancora poco noto all’opinione pubblica locale.

Denunciando il maxi allevamento intensivo ad arborio

Sabato 28 giugno, il collettivo Galline in fuga ha organizzato un sit-in davanti al cantiere di un nuovo allevamento intensivo in costruzione ad Arborio. Gli organizzatori volevano denunciare l’avvio di un impianto gigantesco, inserito nel territorio senza alcuna consultazione pubblica e annunciato solo da qualche settimana tramite articoli sui giornali locali. L’obiettivo della protesta era quello di richiamare l’attenzione sulle condizioni di allevamento delle animali e sull’impatto ambientale di strutture simili.

Aggressività delle forze dell’ordine e condizioni estreme

Le forze dell’ordine si sono presentate sul posto fin dalle prime ore, svolgendo controlli rigorosi sugli attivisti. Circa venti manifestanti hanno visto i loro documenti sequestrati e trattenuti per nove ore, senza accesso a risorse fondamentali come acqua o ombrelloni. La giornata, caratterizzata da temperature intorno ai 35 gradi, ha messo a dura prova la resistenza delle partecipanti. Una delle donne è stata portata in ospedale per disidratazione, mentre altre hanno continuato la protesta fino al giorno successivo, nonostante il caldo intenso e la mancanza di generi di prima necessità.

Il sequestro di oggetti utili come acqua e ombrelli ha esposto le attiviste alle condizioni atmosferiche estreme, mettendo a rischio la loro salute. La tensione è aumentata nel corso della giornata senza che le forze dell’ordine abbassassero la guardia, rendendo il presidio una vera prova di resistenza contro la pressione esterna.

Isolamento e sciopero della fame durante la giornata successiva

Il giorno successivo, domenica 29 giugno, la situazione è peggiorata. Gli agenti hanno bloccato la strada di accesso al cantiere, impedendo qualsiasi rifornimento di cibo o acqua ai manifestanti e minacciando di sequestrare i veicoli di chiunque tentasse di portare aiuti. Gli attivisti si sono trovati quindi isolati e sotto un controllo stretto che ha assunto i contorni di un vero assedio.

Extrema repressione e restrizioni imposte

Due delle attiviste hanno deciso di effettuare uno sciopero della fame per richiamare l’attenzione sulla loro condizione e sui diritti negati. A questo punto hanno chiesto assistenza medica, ma dichiarano che gli agenti hanno sottratto loro i telefoni per impedire qualsiasi forma di documentazione. Inoltre, le stesse affermano di essere state ammanettate con violenza e di aver subito una identificazione forzata, con il trasporto in ospedale di una di loro soltanto dopo un lungo ritardo e in circostanze che ancora oggi suscitano dubbi.

Nei documenti ufficiali notificati non compare alcun riferimento alla privazione di acqua o al trattamento ricevuto durante l’intervento. Le attiviste sono state rilasciate tutte entro poche ore, ma hanno ricevuto un provvedimento di foglio di via immediato, con divieto di ritorno ad Arborio e Vercelli per tre anni. Questa misura ha suscitato forte sgomento, soprattutto per chi ritiene che i diritti fondamentali alla protesta e alla libertà di espressione siano stati calpestati.

Impatto territoriale e limiti alla libertà di protesta

Il progetto dell’azienda Bruzzese prevede la costruzione di un allevamento da 275.000 galline ovaiole. Un’opera imponente, che modifica sensibilmente il tessuto rurale e solleva questioni ambientali importanti, mai state affrontate in un confronto aperto con la comunità locale. Il modo in cui è stata gestita la protesta fa emergere un tema di più ampia portata: fino a che punto si può limitare il diritto a manifestare sotto il pretesto della tutela di interessi privati?

Il silenzio sulla realizzazione del maxi allevamento, rotto solo dalle iniziative degli attivisti e dalla stampa locale, ha lasciato spazio a forti tensioni. L’intervento delle forze dell’ordine si è caricato di una dimensione repressiva che molti osservatori giudicano sproporzionata. Il caso, già oggetto di attenzione in ambito regionale, coinvolge non solo la filiera delle uova, ma anche la libertà civile di organizzarsi e protestare in maniera pacifica.

Ad Arborio si sta scrivendo dunque una pagina delicata che intreccia questioni di ambiente, economia locale, diritti civili e sicurezza pubblica. La vicenda potrebbe segnare un precedente riguardo al modo in cui si affrontano conflitti che nascono dall’opposizione a grandi opere agroindustriali, con possibili ripercussioni sul modo di gestire le proteste in futuro.

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