Processo per stalking a Varese: l'ex moglie racconta l'incubo di violenza

Processo per stalking a Varese: l’ex moglie racconta l’incubo di violenza

Lavinia Limido testimonia contro l’ex marito Marco Manfrinati, accusato di stalking e omicidio, rivelando un contesto di violenza e controllo durante il loro matrimonio. La comunità attende sviluppi sul caso.
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Processo per stalking a Varese: l'ex moglie racconta l'incubo di violenza - (Credit: www.ansa.it)

Lavinia Limido ha testimoniato oggi nel processo che vede accusato il suo ex marito, Marco Manfrinati, di stalking. Tale vicenda si colloca in un contesto di violenza che ha culminato in un omicidio avvenuto il 6 maggio a Varese, quando Manfrinati ha assassinato l’ex suocero. L’aula ha ascoltato una testimonianza straziante, che mette in luce le dinamiche di controllo e aggressione che ha subito Lavinia durante il suo matrimonio.

La testimonianza di Lavinia Limido

In aula, Lavinia Limido, assistita dall’avvocato Fabio Ambrosetti, ha ricostruito le esperienze devastanti vissute a partire dal suo trasferimento con Marco Manfrinati da Varese a Busto Arsizio. Ha descritto un ambiente oppressivo in cui l’ex marito monitorava ogni aspetto della sua vita, costringendola a una qualche forma di sottomissione. “Era abituato a controllare i miei soldi alla fine di ogni mese,” ha dichiarato, evidenziando il livello di controllo esercitato su di lei. Allo stesso modo, ha rivelato che ogni volta che non riusciva a parcheggiare l’auto nel garage, subiva aggressioni verbali.

La situazione è degenerata al punto che, dopo un grave atto di violenza, Lavinia ha preso la decisione di fuggire per la propria incolumità e quella del figlio. “Mi sono rifugiata in provincia di Como, a casa di un’amica di famiglia, perché ero consapevole che lui mi avrebbe cercata dai miei genitori,” ha aggiunto. Raccontando del suo isolamento forzato, ha menzionato di non uscire mai di casa senza prima prendere precauzioni. Le visite dei familiari avvenivano usando auto diverse per evitare che Manfrinati potesse seguirli.

La testimonianza ha messo in evidenza anche la costante paura vissuta dalla donna. Manfrinati non esitava a minacciare e insultare Lavinia e i suoi familiari tramite email e telefonate. Di fronte a una situazione così drammatica, la famiglia ha sentito la necessità di installare sistemi di sorveglianza nelle proprie abitazioni e persino di cambiare il tragitto di ritorno a casa per assicurarsi che non ci fossero minacce in agguato.

La presenza assente dell’imputato in aula

L’udienza si è svolta senza la presenza di Marco Manfrinati, attualmente detenuto nel carcere di Busto Arsizio, dove sta scontando una condanna per omicidio e tentato omicidio. L’avvocato Fabrizio Busignani lo rappresenta nel processo, ma la sua assenza ha pesato sul corso dell’udienza. Prima di iniziare, l’avvocato Ambrosetti ha presentato un insieme di email inviate dall’imputato a Lavinia e al padre, contenenti minacce e insulti, dimostrando che, nonostante la distanza fisica, Manfrinati ha continuato a esercitare nei confronti della ex moglie e della sua famiglia un comportamento persecutorio anche dopo i gravi eventi dell’omicidio di via Menotti.

In un’inquietante dimostrazione della sua percezione della situazione, Manfrinati ha anche inviato una cartolina alla ex suocera dal carcere. Il messaggio conteneva parole di “condoglianze” ironiche per la morte dell’ex suocero, un gesto che ha chiarito ulteriormente la sua mentalità e il disprezzo per le sofferenze inflitte.

Con il proseguire del processo, la comunità di Varese attende sviluppi su un caso che ha già suscitato forte indignazione e dibattito sull’argomento della violenza domestica.

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