Una vicenda del novembre 2020 a Bologna torna al centro dell’attenzione con la sentenza definitiva che riguarda una denuncia di abusi sessuali all’interno degli uffici della questura. La donna coinvolta ha raccontato di violenze subite durante una permanenza forzata dopo un fermo insieme alla sorella. Dopo un iter giudiziario durato diversi anni, la Corte ha emesso la sentenza che condanna la donna per calunnia e simulazione di reato, confermando l’archiviazione a carico degli agenti della polizia accusati.
I fatti denunciati negli uffici della questura di bologna
Nel novembre 2020 una donna di origine cubana, fermata in strada dalla polizia insieme alla sorella, ha denunciato di aver subito abusi sessuali all’interno degli uffici della questura di Bologna. Le due erano state fermate per un controllo e, durante la permanenza nelle stanze della polizia, la prima ha raccontato di aver subito violenze. Queste accuse hanno dato inizio a un’indagine che ha coinvolto diversi agenti. A distanza di mesi, le posizioni di questi ultimi sono state archiviate per carenza di prove, secondo le verifiche effettuate dagli inquirenti.
Versione della sorella e contrasto nelle dichiarazioni
La sorella della donna, presente al momento del fermo, ha fornito una versione diversa rispetto all’accusa, sostenendo che non ci fossero elementi a sostegno delle violenze né comportamenti scorretti da parte degli agenti. Le dichiarazioni contrastanti hanno formato il fulcro dell’approfondimento giudiziario che ha accompagnato il caso negli anni successivi.
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Il processo e la sentenza emessa dal gup letizio magliaro
Il procedimento giudiziario si è svolto con rito abbreviato dinanzi al giudice per l’udienza preliminare Letizio Magliaro. La donna cubana è stata condannata a tre anni per calunnia e simulazione di reato, cioè per aver dichiarato falsamente di aver subito violenze sessuali negli uffici della polizia. Invece è stata assolta rispetto ad altre imputazioni, in particolare quella di resistenza a pubblico ufficiale durante la permanenza in questura, perché non è stato dimostrato che l’atto sia avvenuto.
Anche la sorella, inizialmente imputata per calunnia e resistenza, è stata scagionata da tutte le accuse nei suoi confronti. Il processo si è chiuso quindi con un bilancio di condanne selettive e numerose assoluzioni, a testimonianza della complessità del caso e della contrapposizione tra le versioni fornite.
Il ruolo del video delle telecamere e le critiche della difesa
Un elemento decisivo all’interno dell’inchiesta è stato il video registrato dall’impianto di sorveglianza della questura. Secondo gli avvocati della difesa, Fabio Anselmo e Gianfranco Di Florio, il filmato è stato scaricato dall’autorità solo dopo circa tre anni e inserito nel fascicolo come un “atto amministrativo insindacabile“, senza la possibilità per la difesa di partecipare alle operazioni tecniche relative alle riprese.
Questa circostanza è stata definita inspiegabile dall’avvocato Anselmo, che sottolinea l’importanza di avere potuto visionare e analizzare quelle immagini in tempo reale per costruire una difesa più solida. La difesa ha espresso dubbi anche sulle modalità del fermo e la gestione della donna in questura, evidenziando la somministrazione, contro la sua volontà, di un farmaco sedativo.
Il disagio della donna durante il fermo
La donna, coinvolta in prima persona nella vicenda, avrebbe ricevuto un farmaco sedativo durante la sua permanenza in questura. Questo ha reso necessaria la sua immediata ospedalizzazione, con il coinvolgimento di un anestesista rianimatore per risvegliarla. Questo particolare dimostra un livello di disorientamento e sofferenza vissuti dalla donna durante l’intervento delle forze dell’ordine.
L’avvocato Anselmo ha messo in luce come questa fase abbia lasciato segni profondi sulla sua assistita, che resta ancora oggi provata dall’esperienza vissuta. La sentenza che ha condannato la denuncia di abusi come falsa implica una ricostruzione diversa dalla versione iniziale, ma non può cancellare la portata dell’episodio e l’impatto sullo stato di salute della donna.
Il processo e la riflessione sulle garanzie offerte dalla sorveglianza
Il processo ha confermato il rigetto di alcune accuse, mentre altre sono state accolte dal tribunale. Il caso resta un punto di riferimento per riflettere sulle dinamiche che possono emergere in situazioni di controllo della polizia e sulle garanzie offerte dagli strumenti di tutela come le telecamere di sorveglianza.