Il processo ecosistema, nato da un’inchiesta sul presunto controllo mafioso degli appalti per la gestione dei rifiuti in alcuni comuni del basso jonio reggino, si è chiuso davanti al tribunale di reggio calabria con cinque assoluzioni e quattro prescrizioni. L’inchiesta, coordinata dalla dda e dai carabinieri, aveva portato a una serie di arresti nel 2016 riguardanti imprenditori, amministratori e tecnici comunali. Dopo quasi dieci anni di procedimento, il giudice ha emesso le sentenze che ora ribaltano molte delle accuse iniziali.
Dettaglio delle assoluzioni nel processo ecosistema
Tra gli assolti spiccano nomi importanti come gli imprenditori rosario azzarà e carmelo ciccone. Azzarà, titolare dell’azienda ased, era accusato di aver mantenuto un rapporto stabile con le cosche locali, favorendo la loro infiltrazione negli appalti e fornendo supporto economico ai membri in carcere. Secondo l’accusa, il suo coinvolgimento costituiva un legame diretto con il clan che avrebbe condizionato le gare d’appalto. Il giudice, però, ha deciso che non esistono prove sufficienti per confermare queste accuse. Azzarà è stato assolto con la formula “perché il fatto non sussiste” da tutte le imputazioni, compreso il reato grave di concorrenza illecita aggravata.
Anche ciccone, imprenditore attivo nella stessa area, è stato giudicato innocente rispetto a tutte le accuse contestate, tra cui la turbativa d’asta. La sentenza ha riconosciuto la sua estraneità ai fatti lamentati dalla procura. Difeso da una squadra di avvocati, ciccone ha visto cadere le accuse principali con l’esclusione di qualunque responsabilità nel reato di concorrenza illecita aggravata da modalità mafiose.
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Le altre assoluzioni e il ruolo degli amministratori pubblici
Non solo imprenditori hanno ottenuto l’assoluzione. Anche il responsabile del settore tecnico del comune di melito porto salvo, francesco maisano, è stato prosciolto. Per lui, come per gabriele vincenzo familiari, dipendente della stessa ased, la corte ha stabilito che non sussistono elementi per ipotizzare una condotta illecita.
Tra gli assolti figura pure settimo paviglianiti, ritenuto esponente della cosca omonima attiva nel comune di san lorenzo. Non è stato ritenuto colpevole dei reati attribuiti a vario titolo, confermando così l’assenza di prove concrete nel procedimento.
Prescrizioni e assenza dell’aggravante mafiosa per alcuni imputati
Per gli altri quattro imputati, il tribunale ha dichiarato la prescrizione dei reati contestati. Questi casi riguardano accuse di natura simile a quelle contestate agli assolti ma con modalità che hanno portato allo scadere dei termini per perseguire penalmente i fatti. In più, per questa parte degli indagati, il giudice ha escluso la presenza dell’aggravante mafiosa, riducendo così la gravità delle imputazioni.
La prescrizione, in questi casi, ha interrotto il processo prima di poter giungere a una condanna definitiva. Questo aspetto evidenzia le difficoltà e la complessità nell’accertamento delle responsabilità legate ai fenomeni di infiltrazione criminale nelle gare pubbliche per la gestione dei rifiuti.
La genesi dell’inchiesta e il contesto territoriale
L’indagine che ha originato il processo ecosistema era partita nel 2016 dopo segnalazioni e intercettazioni che indicavano un possibile controllo da parte di mafia e cosche degli appalti pubblici nel basso jonio reggino. I comuni coinvolti – melito porto salvo, bova marina e brancaleone – si trovano in una zona con storiche tensioni legate alla criminalità organizzata.
Le autorità avevano coordinato una vasta operazione con il coordinamento della dda di reggio calabria e l’intervento dei carabinieri, arrestando quattordici persone tra imprenditori, tecnici e amministratori. L’accusa principale verteva sul coinvolgimento di alcune imprese e soggetti pubblici nella gestione delle procedure di appalto, con sospetti di favori e infiltrazioni mafiose che avrebbero alterato la libera concorrenza.
L’impatto del risultato giudiziario nel basso jonio e nel settore dei rifiuti
L’esito del processo offre uno spaccato sulle difficoltà di dimostrare la presenza di rapporti diretti e continui con la criminalità nella gestione di servizi pubblici come lo smaltimento dei rifiuti. Il tribunale ha dimostrato di basare il giudizio sulle prove documentate e di non estendere le responsabilità in assenza di elementi certi.
Per i comuni della zona il verdetto mette fine a una lunga fase di incertezza amministrativa e giudiziaria. Sul piano pratico, inoltre, libera da vincoli alcune realtà industriali e pubbliche coinvolte, ridando aria a un settore critico per l’ambiente e la salute pubblica.
La sentenza rappresenta un momento importante per la giustizia locale e la lotta alle infiltrazioni criminali, anche nel mondo degli appalti, e segna una tappa rilevante dopo anni di indagini e dibattimenti davanti al tribunale di reggio calabria.