Il 15 maggio si terrà a Milano il processo con rito abbreviato a carico di Riccardo Chiarioni, accusato di aver ucciso il padre, la madre e il fratello minore nella villetta di famiglia a Paderno Dugnano, durante la notte tra il 31 agosto e il primo settembre 2024. Dopo un’indagine che ha coinvolto perizie psichiatriche approfondite, emergono dettagli cruciali sulla mente del giovane al momento della tragedia, complici le dinamiche familiari e uno stato psicologico particolare.
Dati e svolgimento degli eventi nella notte della tragedia
Nella notte tra il 31 agosto e il primo settembre 2024, la famiglia Chiarioni è stata sterminata nella loro casa di Paderno Dugnano, comune alle porte di Milano. Riccardo, all’epoca minorenne di 17 anni, ha colpito con 108 coltellate il padre, la madre e il fratello di 12 anni, portando a termine un gesto che ha sconvolto l’intera comunità locale. La città si è trovata improvvisamente sotto i riflettori, con le autorità che hanno avviato un’indagine rapida e dettagliata.
La ricostruzione degli eventi ha evidenziato come la sera fosse stata celebrata la festa di compleanno del padre. Secondo le ricostruzioni, l’atmosfera familiare, come si usa dire, è precipitata in una tragedia dentro quella stessa casa. Riccardo è stato fermato poco dopo e posto sotto custodia. L’impatto di una simile violenza, soprattutto con il coinvolgimento di un minorenne, ha aperto un dibattito sulle motivazioni recondite dietro il gesto. Il caso è passato fra le mani del Tribunale per i minorenni di Milano, davanti alla giudice Paola Ghezzi, che dovrà decidere sul rito abbreviato.
Leggi anche:
La perizia psichiatrica e il conflitto tra le diagnosi
Il punto chiave del processo sarà la perizia psichiatrica svolta dal dottor Franco Martelli, esperto in psichiatria e criminologia clinica. Durante l’udienza del 4 aprile, Martelli ha presentato le sue conclusioni secondo cui Riccardo era parzialmente incapace di intendere e volere al momento dell’omicidio. Questo significa che, pur avendo una qualche forma di responsabilità, il giovane non era completamente consapevole né padrone delle sue azioni, per via di uno stato mentale alterato.
Il perito ha raccontato di un ragazzo che viveva in un mondo fatto di realtà e fantasia, lontano dalla quotidianità. Riccardo immaginava un universo alternativo, che chiamava “della immortalità”, nel quale cercava rifugio. Per arrivare a quel mondo, credeva di dover eliminare tutti gli affetti, simbolicamente rappresentati dalla sua famiglia. Questa rappresentazione mette in luce un disturbo profondo, che non si limita a un capriccio o a una rabbia momentanea, ma appare come una vera e propria condizione mentale disfunzionale.
Ma non tutti gli esperti condividono questa versione. I consulenti della Procura per i minorenni hanno respinto l’ipotesi di un vizio di mente che possa aver influenzato la capacità del giovane in modo così marcato. Per loro, Riccardo aveva la piena coscienza di quanto stava compiendo, e agì con consapevolezza. A questo si aggiunge la posizione dello psichiatra difensore Marco Mollica, che sostiene una totale incapacità di intendere e volere, ampliando così la necessità di un percorso di cure specifiche.
Le implicazioni della sentenza e la pena ipotizzabile
Con l’accusa di omicidio aggravato, la questione della premeditazione pesa in modo rilevante sul percorso legale. Se confermata, la premeditazione può portare a pene severe, spesso intorno ai 20 anni di carcere o più. Nel caso di Riccardo, entrano però in gioco alcune variabili che potrebbero modificare la severità della condanna.
Il fatto che il processo si svolga con rito abbreviato prevede una riduzione della pena rispetto al rito ordinario. Inoltre, la valutazione del disturbo mentale parziale indicato potrebbe fungere da attenuante significativa. I giudici dovranno pesare con attenzione queste componenti nel momento della decisione finale, tenendo conto della giovane età dell’imputato e delle circostanze psicologiche. Non è escluso che la sentenza, pur riconoscendo la gravità del gesto, includa una misura di trattamento in ambiente protetto o una forma di pena alternativa al carcere tradizionale.
La data fissata per il 15 maggio si avvicina e l’attesa cresce, sia nei confronti della famiglia rimasta senza parole, sia fra gli operatori della giustizia minorile che dovranno districarsi tra responsabilità penale e tutela della salute mentale di un ragazzo segnato da un dramma familiare senza precedenti nella zona.