Dopo la fine della fase acuta della pandemia di Sars-CoV-2, resta aperta la questione del long covid, ovvero quei sintomi che persistono per mesi in alcuni pazienti. Un team internazionale di scienziati ha condotto uno studio su migliaia di persone colpite dalla sindrome, scoprendo una variante genetica che potrebbe spiegare la maggiore vulnerabilità di alcuni individui, in particolare per quanto riguarda la funzione polmonare. Il lavoro, pubblicato su Nature Genetics, apre nuove strade per capire le cause biologiche della condizione e orientare futuri studi medici e terapeutici.
Il fenomeno del long covid e le sue manifestazioni cliniche
Il long covid riguarda un insieme di sintomi che alcune persone sperimentano a lungo distanza dalla guarigione dall’infezione da Sars-CoV-2. Non si tratta solamente di esiti temporanei, ma di disturbi che si protraggono per settimane o mesi. Tra i sintomi più frequenti ci sono la stanchezza cronica, difficoltà cognitive come il cosiddetto “brain fog” — un senso di confusione mentale e memoria offuscata — e problemi respiratori che compromettono la vita quotidiana. Questo quadro non risparmia neanche i soggetti più giovani, con ripercussioni sul lavoro e sugli impegni familiari.
Uno degli scogli della ricerca sul long covid è che, a distanza di anni dall’emergenza sanitaria, non è ancora stato chiarito perché certe persone soffrano di tutti questi disturbi e altre no. Mentre lo studio del virus e dei suoi effetti acuti ha visto progressi rapidi, la fase post-infettiva si dimostra più complessa. Le ipotesi sono varie e vanno dall’alterazione del sistema immunitario a danni organici residui, ma servono prove più precise. In questo contesto, identificare fattori genetici risulta chiave per orientare le ipotesi sulle origini biologiche della sindrome.
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Il progetto internazionale per scoprire i fattori genetici del long covid
La Long Covid Host Genetics Initiative è la collaborazione che ha riunito scienziati da 16 Paesi per studiare i meccanismi ereditari dietro i sintomi persistenti dopo l’infezione da coronavirus. Hanno raccolto dati genetici relativi a 6.450 pazienti colpiti dalla sindrome e li hanno confrontati con più di un milione di individui senza sintomi, coinvolti come gruppo di controllo, attraverso 24 studi. Questo vasto campione ha permesso di analizzare eventuali varianti genetiche presenti in chi soffre di long covid con una maggiore frequenza.
Il dato più rilevante emerso dallo studio ha riguardato una specifica variante che aumenta il rischio di sviluppare la sindrome del 60%. Per confermare questa associazione, è stata condotta un’ulteriore analisi indipendente su altri 9.500 casi, che ha dimostrato la stessa correlazione significativa. Lo studio mette quindi in evidenza come certe componenti genetiche possano predisporre alcuni individui a soffrire più a lungo dopo l’infezione da Sars-CoV-2.
Il ruolo del gene foxp4 nella funzione polmonare e nella sindrome da long covid
La variante individuata si trova vicino al gene Foxp4, conosciuto per il suo ruolo nello sviluppo e nella salute dei polmoni. Questo gene è già stato legato a diverse malattie polmonari e al funzionamento respiratorio, elementi cruciali nel quadro clinico del long covid. Hugo Zeberg, ricercatore del Karolinska Institutet e tra gli autori principali, spiega che “il dato suggerisce il coinvolgimento diretto della funzionalità polmonare compromessa nello sviluppo della sindrome.”
Dal momento che la variante genetica comporta un aumento consistente del rischio di long covid, riconoscerla significa svelare un importante pezzo della complessità medica che ancora caratterizza la malattia. Il legame tra alterazioni genetiche e sintomi persistenti potrà indirizzare nuove strategie di ricerca e, in futuro, approcci personalizzati per gestire i pazienti più fragili. Questo risultato, ottenuto grazie a tecniche di analisi genetica applicate a dati raccolti in diverse nazioni, serve come base da cui partire per indagare ulteriormente l’impatto polmonare del long covid.
Il contributo degli studi genetici alla comprensione di malattie complesse
Le ricerche genetiche offrono un potente strumento per comprendere malattie che ancora sfuggono a spiegazioni semplici. In particolare per sindromi come il long covid, dove i meccanismi non sono chiari, individuare varianti specifiche aiuta a identificare i fattori di rischio. Hanna Ollila, coinvolta nello studio, evidenzia che “il lavoro svolto sui dati genetici può fornire dati concreti utili a definire meglio le cause biologiche.”
Le informazioni ottenute da questi progetti non solo segnalano predisposizioni ereditarie, ma aprono scenari che riguardano il funzionamento degli organi coinvolti. Questo è importante in malattie dove il quadro clinico è articolato e dove il ruolo del sistema immunitario o le eventuali lesioni di organi come i polmoni dev’essere approfondito. Il lavoro degli scienziati continua mirando a svelare altri fattori, un passo alla volta, per offrire risposte più precise a pazienti e medici.