Nel carcere di Marassi, a Genova, quattro detenuti sono sotto indagine per aver aggredito un ragazzo di 18 anni che condivideva la cella, scatenando una rivolta all’interno della casa circondariale. L’accusa potrebbe aggravarsi con l’aggiunta del reato di tortura, in base a quanto emergerà dalla testimonianza della vittima che verrà ascoltata oggi pomeriggio all’ospedale San Martino dal pubblico ministero responsabile del caso. La difesa del giovane è affidata all’avvocata Celeste Pallini. L’eventuale conferma delle sevizie prolungate nei giorni precedenti, porterebbe all’iscrizione del reato più grave a carico dei responsabili. Intanto i quattro indagati sono stati spostati in isolamento in altre strutture penitenziarie fuori dalla regione.
La rivolta nella casa circondariale e le misure adottate dopo gli scontri
L’aggressione verso il giovane detenuto ha avuto un impatto immediato sulla vita della casa circondariale di Marassi. Subito dopo gli abusi è scoppiata una rivolta che ha richiesto l’intervento delle forze dell’ordine per riportare la calma. Le dinamiche degli scontri sono ancora oggetto di chiarimento, ma già si sa che la tensione fra i detenuti si è aggravata in modo notevole.
Per far fronte alla situazione, le autorità hanno deciso il trasferimento dei detenuti coinvolti nelle violenze in altri istituti penitenziari della penisola, in regime di isolamento. Questa soluzione è stata scelta per interrompere la catena di ritorsioni e garantire la sicurezza dell’intero carcere. Al tempo stesso, il Dap indaga sul clima interno alla casa circondariale e sulle possibili criticità organizzative emerse dalla rivolta. L’episodio di Marassi mette in luce la delicatezza della gestione quotidiana di strutture con popolazione carceraria giovane e con difficoltà relazionali accentuate.
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Le responsabilità del personale carcerario e l’indagine del dipartimento amministrazione penitenziaria
Le indagini non si limitano alla posizione dei quattro detenuti, ma riguardano anche le eventuali omissioni del personale penitenziario. Al centro dell’attenzione c’è la mancata individuazione tempestiva delle aggressioni e delle condizioni di disagio in cui versava il giovane, fattore che avrebbe potuto evitare l’escalation di violenza e la successiva rivolta. Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha avviato una propria inchiesta per stanare eventuali responsabilità di chi doveva garantire la sicurezza interna.
I risultati di questo procedimento saranno integrati nell’indagine del pm Andrea Ranalli e potranno far emergere falle nell’organizzazione del carcere di Marassi. Accertare omissioni o condotte imprudenti del personale potrebbe aprire nuovi filoni giudiziari, anche a carico di agenti o ufficiali della casa circondariale. Il quadro complessivo di quanto accaduto da mercoledì scorso appare così legato non solo a un episodio di violenza fra detenuti ma anche a una gestione della struttura che andrà posta sotto controllo più rigoroso.
La testimonianza della vittima e le possibili conseguenze legali
L’ascolto del ragazzo di 18 anni, vittima dell’aggressione, rappresenta un passaggio decisivo per le indagini in corso. Sarà lui, da quanto previsto, a fornire la descrizione puntuale dell’accaduto e del trattamento subito. La sua versione potrebbe includere dettagli importanti su eventuali abusi di natura fisica e psicologica prolungati nel tempo. Se il pubblico ministero Andrea Ranalli dovesse ricevere conferme su maltrattamenti reiterati, l’imputazione iniziale sarà aggiornata aggiungendo il reato di tortura, previsto nel codice penale per episodi di crudeltà gravi. Il ragazzo è assistito dall’avvocata Celeste Pallini, che lo sta supportando sia dal punto di vista legale che umano mentre si svolge l’incidente probatorio.
Questo momento dell’inchiesta rappresenta una delicata fase istruttoria perché la corte dovrà anche valutare se la violenza abbia causato danni permanenti al detenuto. Nel frattempo, il trasferimento dei quattro sospettati in altre carceri lontane dalla Liguria serve a prevenire ulteriori tensioni. La loro collocazione in regime di isolamento punta a impedire contatti fra aggressori e vittima o altri detenuti, limitando il rischio di nuovi episodi violenti all’interno della struttura originaria.