L’inchiesta della procura di Genova coinvolge 15 agenti del reparto sicurezza urbana della polizia locale, accusati di aver fatto ricorso a violenza indiscriminata e metodi vessatori nei confronti di persone in situazioni di marginalità sociale. Il caso, emerso dopo segnalazioni interne, mostra uno scenario di abusi compiuti durante fermi e perquisizioni, documentato attraverso chat e testimonianze dirette.
I reati contestati agli agenti del reparto sicurezza urbana di genova
Secondo il decreto della pm Sabrina Monteverde, i 15 indagati – 11 uomini e 4 donne – avrebbero usato la violenza in modo sproporzionato, anche tramite l’uso dello sfollagente. Nel documento di oltre 30 pagine si dettagliano almeno sei episodi specifici di maltrattamenti. Le condotte contestate includono minacce e offese gravissime rivolte a persone vulnerabili, che vivono ai margini della società.
Questi fatti non si sono limitati allo scontro fisico, ma si sono estesi a pratiche psicologiche, come gli insulti verbali e il cosiddetto “sussurro nell’orecchio”, volto ad aggravare la situazione di chi veniva fermato. Lo scopo apparente era spesso quello di provocare reazioni da parte delle vittime, così da giustificare arresti per resistenza a pubblico ufficiale.
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Gli indagati sono assistiti da diversi avvocati, tra cui Andrea e Maurizio Tonnarelli, Igor Dante e Federico Fontana. Alcuni hanno chiesto il dissequestro dei propri telefoni cellulari tramite ricorso al tribunale del Riesame, nella speranza di recuperare dispositivi sottoposti a sequestro durante le indagini.
Le prove raccolte e le chat interne al gruppo degli agenti
Uno degli elementi chiave dell’indagine è la chat denominata “Quei bravi ragazzi”, dove gli agenti avrebbero condiviso conversazioni cariche di linguaggio violento e battute offensive. In questi scambi emerge un clima di disinvoltura rispetto alle pratiche illecite, con riferimenti espliciti al fatto che, con certe azioni ripetute, si erano accumulati reati.
Le chat documentano con precisione episodi in cui si raccomandavano insulti mirati a scatenare reazioni delle persone fermate. Questo comportamento mirava a innescare situazioni di scontro che potessero giustificare l’uso della forza e l’arresto. La chat rappresenta così un elemento probatorio che prova un atteggiamento programmato e non occasionale.
Il documento acquisito dagli investigatori aiuta a comprendere l’ambiente e le dinamiche interne alla squadra, mettendo in luce una devianza consolidata. Le testimonianze di persone coinvolte nella vicenda e le registrazioni degli scambi hanno contribuito a far emergere la portata reale delle prassi abusive.
Le testimonianze di due vigilesse e gli abusi raccontati alla procura
Due agenti donne della polizia locale hanno denunciato i pestaggi e le vessazioni commesse dagli indagati. Le loro dichiarazioni alla procura di Genova descrivono episodi di violenza fisica avvenuti prima all’interno delle auto di servizio, poi nei bagni degli uffici. In queste circostanze si sarebbero consumati pestaggi ai danni dei fermati, condotte ben lontane dall’attività legittima di controllo e prevenzione.
Le due vigilesse hanno denunciato anche furti durante perquisizioni, coinvolgendo somme di denaro e piccole quantità di droga sottratte alle persone fermate. Queste sostanze e soldi sarebbero stati poi usati dai membri della squadra per giustificare nuovi fermi o per scopi personali durante i turni di lavoro. Gli stessi indagati ammettevano l’accaduto nelle chat, sottolineando che, con certe “mosse”, si erano accumulati numerosi reati.
Un altro particolare emerso riguarda l’uso delle bodycam: i dispositivi sarebbero stati attivati solo dopo gli episodi violenti o i furti, lasciando così vuote di prove le fasi più critiche delle azioni illegittime. Questo ritardo nel documentare le operazioni rende ancora più delicata la verifica degli abusi segnalati.
La risposta legale e i passi successivi dell’inchiesta
Dopo l’emersione del caso, i 15 agenti coinvolti si sono difesi tramite i propri legali e hanno richiesto il dissequestro dei cellulari per poter accedere ai contenuti bloccati. Il tribunale del Riesame ha iniziato a valutare queste istanze, inserendo il procedimento in una fase di attesa degli esiti.
Al momento, la procura continua le indagini per approfondire e verificare ogni singolo episodio segnalato, utilizzando le testimonianze raccolte, le chat e altri elementi di prova. La complessità della situazione impone un’attenta ricostruzione dei fatti, soprattutto perché coinvolge personale addetto alla sicurezza pubblica.
I dettagli contenuti nel decreto della pm indicano una serie di abusi protratti nel tempo e dissimulati anche con l’uso improprio delle tecnologie di controllo. Lo sviluppo della vicenda potrebbe avere ripercussioni sul corpo della polizia locale e sulle prassi operative adottate in futuro, richiedendo interventi di supervisione più serrati.