Le rocce riportate sulla Terra dalle missioni Apollo contengono ancora tracce importanti della storia della Luna. In particolare, alcune minuscole perle di vetro formatesi milioni di anni fa durante eruzioni vulcaniche esplosive offrono nuove informazioni sulle condizioni interne e superficiali del nostro satellite naturale. Le analisi condotte con strumenti moderni hanno permesso di scoprire dettagli prima inesplorati, aprendo una nuova finestra sugli eventi avvenuti quando la Luna era ancora attiva dal punto di vista vulcanico.
Le perle di vetro lunari: piccoli testimoni di un passato vulcanico
Le perle di vetro in questione sono piccolissime, spesso meno di un millimetro, e si trovano all’interno della regolite lunare, cioè lo strato di polvere e frammenti sulla superficie della Luna. Questi granuli si presentano in due colori principali: arancione e nero. Si formarono fra 3,3 e 3,6 miliardi di anni fa, quando potenti pennacchi di lava vennero espulsi dalle bocche vulcaniche della Luna. In caduta libera, le gocce di lava si raffreddarono rapidamente a contatto con il gelo lunare, solidificandosi in perle di vetro.
Custodi del passato
Questi piccoli frammenti rappresentano vere e proprie capsule del passato profondo della Luna, sigillando informazioni sull’interno e le dinamiche di eruzione vulcanica in quel periodo. Negli ultimi decenni, i campioni provenienti dalla missione Apollo 17, che li raccolse, sono stati oggetto di studi che ne hanno cercato di comprendere la formazione e la composizione, con risultati ora ampliati grazie ad apparecchiature più sofisticate.
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Strumenti e metodi utilizzati per l’analisi delle perle di vetro
Un gruppo di ricercatori guidato da Thomas Williams, Stephen Parman e Alberto Saal della Brown University ha condotto analisi approfondite su queste perle attraverso tecniche avanzate. Tra gli strumenti principali vi è stata la microsonda ionica NanoSIMS 50, capace di eseguire misurazioni su scala atomica. Questo ha permesso di identificare con precisione la presenza di elementi e isotopi all’interno delle perle, oltre a studiarne la struttura fino a livello nanometrico.
Per evitare alterazioni dovute al contatto con l’aria terrestre, il gruppo ha utilizzato un fascio di ioni che ha estratto le perle direttamente dai campioni, mantenendole isolate da possibili contaminazioni. Le perle sono state poi esaminate con ulteriori tecniche: la tomografia a sonda atomica, la microscopia elettronica a scansione e la spettroscopia a raggi X a dispersione di energia, tutte utili a ricostruire la composizione chimica e la struttura interna.
Questi metodi hanno fornito informazioni dettagliate sulle condizioni di raffreddamento e sulla composizione dei materiali vulcanici originari, confermando che le eruzioni sulla Luna furono caratterizzate da esplosioni capaci di trasportare materiale fuso in atmosfera, dando origine alle minuscole perle di vetro cristallizzate.
Tecnologia al servizio della scienza lunare
Questi studi rappresentano un avanzamento nel campo delle analisi planetarie, utilizzando strumenti capaci di esplorare le caratteristiche più minute ed antiche dei materiali extraterrestri.
Il significato delle nuove scoperte per la conoscenza della Luna
Dopo mezzo secolo dalla raccolta di questi campioni, la tecnologia attuale ha permesso agli scienziati di tornare su materiali già noti e fare nuove scoperte che modificano la comprensione delle attività vulcaniche lunari. Le perle di vetro mostrano che le eruzioni erano esplosive e le condizioni in cui si formarono erano molto distanti da quelle osservabili oggi sulla Terra.
Questi risultati aiutano a ricostruire la storia termica e chimica della Luna, un corpo che ora appare più complesso e dinamico nel suo periodo di formazione. In effetti, la capacità di osservare isotopi e elementi in maniera così precisa apre la strada ad altri studi su altre tracce riportate dalle missioni Apollo, con possibili ricadute anche per la geologia planetaria in generale.
Conservare questi pezzi di storia lunare e analizzarli con le nuove tecnologie conferma l’importanza delle missioni Apollo e dimostra che anche materiale raccolto decenni fa può fornire risposte nuove, utili per capire meglio il nostro satellite e, più in generale, i processi vulcanici nello spazio.