L’elezione di Robert Francis Prevost come 267° papa, l’8 maggio 2025, ha subito richiamato l’attenzione del mondo sul suo messaggio principale: la pace ispirata al Cristo Risorto. Nelle prime settimane, il nuovo pontefice ha insistito sull’urgenza della riconciliazione e sull’impegno per un dialogo che abbracci tutte le periferie umane e culturali. Il suo magistero si concentra su una Chiesa che diventi punto di riferimento in tempi segnati da conflitti e divisioni, proponendo la nonviolenza, l’unità interna e la compassione come vie concrete per costruire rapporti umani più solidi.
La fumata bianca e il primo appello per la pace del papa
Alle ore 18.07 dell’8 maggio 2025, dalla Cappella Sistina si è levata la fumata bianca a indicare l’elezione di papa Robert Francis Prevost. Un’ora dopo, il primo discorso del pontefice ha toccato immediatamente il tema della pace. Dalla loggia centrale della basilica di san pietro, alle 19.23, il neopontefice ha rivolto un appello alla pace del Cristo risorto, definendola “disarmata e disarmante, umile e perseverante”. Il suo invito ha trovato immediata eco in piazza san pietro e oltre, segnando un inizio di pontificato che pone la riconciliazione come asse portante.
L’attenzione alla pace non è stata un monito isolato, ma una linea ripetuta e rafforzata in tutti gli interventi pubblici successivi. Nel primo Regina Caeli, domenica 11 maggio, ha esortato i leader mondiali a dire “mai più la guerra”, sottolineando la necessità di una pace “giusta e duratura” soprattutto in aree tormentate come l’Ucraina e la Striscia di Gaza.
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Il disarmo delle parole per una pace duratura
Papa Prevost ha ripetutamente spiegato che la pace non si ottiene solo riducendo le armi ma anche “disarmando” il linguaggio. Il suo invito a moderare parole cariche di odio o conflitto indica un approccio che supera il solo cessate-il-fuoco militare. La guerra delle parole – ha detto – alimenta rancori, aumenta le distanze e impedisce il dialogo vero.
Ha esortato a costruire “spazi di confronto” dove ascolto e pazienza sostituiscano toni aggressivi o strumentali. Solo così si può aprire una strada verso una riconciliazione con “dignità”, capace di superare contrapposizioni di vecchia data. Questo metodo include dare voce a tutti: poveri, giovani, emarginati, gruppi spesso messi da parte nei negoziati.
La sua predica al sottile ma essenziale disarmo verbale è stata ribadita in diverse occasioni, compreso un incontro con i rappresentanti dei media, in cui ha invitato la comunicazione a non alimentare la conflittualità, ma a favorire ascolto e rispetto reciproco.
Unità dei cristiani e dialogo interreligioso: responsabilità senza condizioni
Il pontefice ha definito la pace un impegno non solo dei cattolici, ma di tutte le fedi. L’unità tra cristiani, e il dialogo interreligioso, devono svolgere un ruolo decisivo per sanare traumi e incomprensioni che attraversano il mondo. Ha ricordato che questa unità va raggiunta senza condizionamenti politici o ideologici, e con la volontà di guardare oltre le divisioni storiche.
In un contesto segnato da ferite aperte, il papa ha identificato nel coraggio di amare la strada per costruire un nuovo futuro. L’unità dei cristiani diventa quindi promessa di una pace più profonda e stabile rispetto a soluzioni temporanee o imposte.
Ha esortato a fare della nonviolenza non solo una strategia politica, ma uno “stile” di vita, una scelta che permea decisioni, relazioni, azioni quotidiane. Vivere così significa anche influenzare le istituzioni, trasformandole in strumenti di comunione e fratellanza.
Una chiesa unita come segno di riconciliazione e missione
Il motto pontificio, “in illo uno unum – nell’unico Cristo siamo uno”, ricorda un passo di sant’agostino e sintetizza il progetto ecclesiale di Prevost. Una Chiesa fatta di molti fedeli ma unita nel fondamento cristologico, chiamata a superare divisioni interne per essere vera testimone di unità.
Il pontefice di origine agostiniana propone una chiesa che sia al tempo stesso segno e strumento di comunione, capace di agire come “lievito” nella società. Ha sottolineato che essa non può essere chiusa entro confini geografici o strutture amministrative ma deve diffondere la “sublimità della conoscenza di Gesù Cristo” ovunque.
Questa Chiesa si definisce anche attraverso tre dimensioni: il richiamo alla conversione personale, l’entusiasmo di una missione aperta al mondo, e il calore della misericordia verso chi soffre o vive ai margini.
La famiglia come fondamento di pace e dimensione ecclesiale
Prevost ha rivendicato la centralità della famiglia come “Chiesa domestica” e segno tangibile di unità. L’ha indicata come “segno di pace e futuro dei popoli” capace di contenere e trasmettere l’amore di Dio. Per il papa, oggi serve una riscoperta dell’alleanza coniugale per contrastare forze che disgregano relazione e tessuto sociale.
Ha sottolineato il valore della grazia sacramentale del matrimonio non come semplice regola ma come esperienza di incontro concreto con Gesù. La vita cristiana dunque cresce dentro relazioni familiari vive, non in modelli moralistici o idealizzati a distanza dalla quotidianità.
Nel corso del “giubileo delle famiglie”, ecco riaffermata questa visione di una famiglia che riveste un ruolo centrale nella costruzione di una convivenza pacifica e armoniosa.
La compassione come pratica umana e via per la pace
Tra i temi costanti del suo primo mese di pontificato, il papa ha ripreso il concetto di compassione, definendola prima di tutto “una questione di umanità”. Prima di ogni fede o credo, ha spiegato, siamo chiamati a riconoscere l’altro come persona da accogliere, non come problema da risolvere a distanza.
La compassione si traduce in azioni, non solo in sentimenti. Il pontefice ha invitato a non temere di “sporcare le mani”, farsi vicino agli ultimi e coinvolgersi nel loro dolore. Ha ricordato che dal cuore di Gesù arriva quell’esempio da seguire, da far diventare pratica quotidiana.
È in questa dimensione concreta di cura e attenzione che si radica, secondo lui, la possibilità di costruire una vera pace duratura. La compassione è dunque ponticello tra le persone che apre spazi umani di relazione, indispensabili in tempi segnati da divisioni evidenti.