Nel cuore della provincia di Torino, nella frazione San Martino di Barge, è iniziata una vicenda che racconta molto delle tensioni sociali e morali del dopoguerra in Italia. La storia di tre giovani, protagonisti di un’aggressione feroce e senza pietà, apre uno squarcio su un’epoca segnata da fragilità, violenze e speranze infrante. Il racconto si sviluppa tra una osteria, una cascina isolata e le aule di un tribunale, per arrivare poi alla difficile rinascita di uno dei protagonisti, ritrovatosi a fare i conti con un passato che pesava e una vita da ricostruire a fatica.
La notte del 24 ottobre 1947: l’osteria di san martino e il presagio delle ombre
Quella sera, nella frazione di San Martino a Barge, locale frequentato da abitanti del villaggio, s’incontrano tre ragazzi quasi ventenni: Giovanni Brogliera e i cugini Mario ed Egidio Maritano. L’atteggiamento inquietante e provocatorio del gruppo non passa inosservato. Bevono e mangiano senza freno, alzano la voce con minacce esplicite e mostrano un borsone dal contenuto misterioso. Qualcuno sembra intuire la natura oscura di quei giovani, ma nessuno interviene.
Poco prima di mezzanotte, il trio esce furtivamente dopo aver sottratto una bottiglia di vino. All’esterno, la notte fredda si mescola alla pioggia battente mentre si dirigono verso la cascina di Bartolomeo Abate Daga, un contadino ben conosciuto in zona e per il quale Egidio aveva lavorato come garzone tempo prima. Con violenza e minacce urlate, bussano alla porta, ma ricevono un rifiuto fermo con il paletto che blocca l’entrata. Segue una scena tremenda: sotto la minaccia di un mitra, si fanno aprire e iniziano la loro aggressione brutale, fino a trascinare il contadino con una corda e mettere a segno atti di violenza orrendi contro la moglie e i figli.
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Il processo e la condanna: i tre giovani dietro le sbarre
Nei giorni successivi la polizia arresta i responsabili. Giovanni Brogliera, Mario ed Egidio Maritano affrontano un processo che si conclude nel 1949 con una condanna pesante: 18 anni di carcere per ciascuno. Il clima di quegli anni, complicato dalla ripresa dopo la Seconda guerra mondiale, porta a diverse amnistie e diminuzioni di pena che permetteranno una prematura scarcerazione entro la metà degli anni ‘50.
Egidio, dietro le sbarre del carcere di Casale, inizia a immaginare una vita nuova. Nel novembre 1954, scrive una lettera a La Settimana Enigmistica, annunciando la sua imminente libertà e la volontà di trovare una donna con cui sposarsi subito dopo l’uscita. La richiesta scatena un caso curioso: dagli scaffali del settimanale arriva la risposta di Paola Careddu, una ragazza sarda ricoverata a Firenze per tubercolosi.
La corrispondenza e l’incontro: tra speranze e sospetti
La lettera di Egidio e la risposta di Paola danno via a una lunga corrispondenza che dura mesi. I due si scambiano foto e parole, costruendo un rapporto basato su messaggi quotidiani e una promessa di matrimonio senza aver mai condiviso un incontro vero. Il passato di Paola, costellato da un abbandono doloroso di un precedente fidanzato, e la sua fermezza la spingono a prendere il controllo una volta uscita dall’isolamento.
Quando Paola raggiunge Pinerolo per conoscere la madre di Egidio, trova un’accoglienza fredda ma dignitosa. La madre di lui vive in condizioni difficili, ma si offre di ospitarli e sperare in un futuro migliore. I due giovani si ritrovano presto a condividere una vita apparentemente tranquilla, ma l’equilibrio si rompe presto a causa della mancanza di soldi e della riluttanza di Egidio a rimettersi al lavoro.
La tensione crescente e il tragico epilogo
Egidio mostra sempre meno voglia di affrontare la vita all’esterno e si avvicina a ambienti poco raccomandabili, impegnandosi nel contrabbando di tabacco. Paola, preoccupata, torna in Sardegna per procurarsi risorse e mette basi concrete per il matrimonio con tanto di pubblicazioni affisse sulla porta della chiesa.
A quel punto succede l’imprevedibile: Egidio cambia idea, trova un’altra donna e dichiara apertamente che non intende più sposare Paola. Lei, avvertita più volte, aveva già minacciato una reazione drastica in nome dell’onore sardo, ma lui aveva preso la cosa con leggerezza.
Il 30 settembre 1955, a Pinerolo, la tensione tra i due esplode in un litigio continuo. Dopo aver spedito Paola via con un biglietto del treno e i bagagli, Egidio si addormenta sul letto, leggendo un libro che la donna gli aveva regalato. Paola estrae la pistola che aveva comprato anni prima e gli spara alla nuca, lasciandolo cadere senza un lamento.
Il processo di paola careddu e la sentenza finale
Paola si costituisce immediatamente. Il processo che segue, nel 1956, attira un’attenzione particolare. Riceve lettere di sostegno da più parti, anche dall’estero. All’accusa di vendetta si contrappone la difesa che parla di un gesto estremo per difendere il proprio onore.
Nonostante la notorietà del caso, l’11 luglio 1956 la giustizia stabilisce una condanna a dieci anni di reclusione per Paola, riconoscendo forme di attenuanti legate alla provocazione e alle circostanze contingenti. Il destino di questa donna, sospesa tra amore, dolore e vendetta, chiude una pagina difficile di cronaca che ha segnato profondamente la comunità e lascia un’impressione di inquietudine su quel periodo e quei luoghi.