Gli oceani coprono gran parte della superficie terrestre ma sono ancora in gran parte sconosciuti. Ben oltre l’80% dei fondali marini e quasi tutto il territorio abissale, il 98%, non è stato ancora esplorato, eppure molte delle aree più fragili stanno subendo danni irreversibili. La pressione che arriva dal turismo di massa si aggiunge a problemi già approfonditi come inquinamento, pesca e cambiamenti climatici, colpendo ecosistemi marini preziosi. Quest’articolo racconta l’impatto del turismo sugli ambienti acquatici, mostrando casi emblematici in varie parti del mondo e il ruolo della ricerca scientifica per una gestione più consapevole.
Il mare, vittima silenziosa del turismo di massa
Il turismo è sempre stato considerato un modo per conoscere mondi diversi, abbattere confini culturali e ampliare gli orizzonti. Però quando la visita si riduce a un passaggio frettoloso, con l’obiettivo solo di scattare foto da mostrare sui social, il danno può crescere rapido. La parola “overtourism” ricorda già fenomeni vissuti da città d’arte, ma non meno grave è l’esaurimento del mare sotto la pressione di migliaia di visitatori. Rosalba Giugni, presidente della Fondazione Marevivo, evidenzia come gli ecosistemi marini, soprattutto barriere coralline e habitat fragili, abbiano sofferto più di altri territori.
Desertificazione e perdita di biodiversità
La desertificazione di molte barriere è un esempio evidente, con danni causati da turismo incontrollato già dal decennio scorso. Senza un’attenzione maggiore, la biodiversità marina rischia di perdersi senza che si sappia nemmeno cosa stiamo perdendo davvero. L’8 giugno, giornata mondiale degli oceani che precede la conferenza Onu sugli oceani a Nizza, Marevivo lancia un appello: la tutela del mare deve entrare tra priorità ambientali globali. La futura tutela passa per una ricerca scientifica più approfondita sulla biodiversità, tema che sarà centrale durante l’incontro Onu.
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I casi simbolo di danno da turismo selvaggio in aree marine famose
Tra i casi più gravi spicca la Thailandia con la baia di Maya Bay, ribattezzata celebre dal film “The Beach” con Leonardo DiCaprio. Qui, fino a 5.000 visitatori e 200 barche arrivavano ogni giorno, schiacciando la vita marina con l’80% dei coralli ormai distrutti. La chiusura del luogo ha offerto tempo alla natura per cercare di rigenerarsi, ma la ferita resta. In modo simile, l’isola di Boracay nelle Filippine ha subito una pressione di 20.000 persone al giorno che ha contaminato le acque e cementificato le spiagge. Solo dopo sei mesi di chiusura forzata sono entrate in vigore nuove misure per un minimo equilibrio tra turismo e tutela.
Impatti in Europa e altre regioni
In Europa, la Sardegna rivela come anche territori meno noti non siano immuni. Nelle isole della Maddalena il rumore delle imbarcazioni allontana i delfini, mentre ancora si danneggiano fondali e si accumula stress nell’ambiente marino. L’Egitto mostra problemi simili nel Mar Rosso dove gli spostamenti e le attività di subacquei minacciano i delfini e interferiscono con i loro cicli vitali. Alle Hawaii la baia di Hanauma ha sofferto in passato un turismo estremo, fino a 10.000 visitatori giornalieri. Limiti e regole nuove sono stati introdotti per fermare il declino dei coralli.
La Grande barriera corallina australiana fatica a riprendersi dalle conseguenze di decenni di stress climatico e turismo incontrollato. Le cifre sono pesanti: più della metà dei coralli sparita dal 1985. Il rischio di perdere questi spazi è un segno del limite che questo tipo di turismo ha superato.
Gli altri fronti dell’impatto turistico sugli ecosistemi marini
Oltre ai luoghi iconici, situazioni di pressione e danno emergono in tante aree meno conosciute. Tra Tanzania e Zanzibar, turisti e rifiuti plastici hanno intaccato mangrovie e praterie sottomarine. Nel parco marino greco di Alonissos, l’aumento dei visitatori rischia di azzerare anni di lavoro per conservare l’ambiente. In Portogallo, la spiaggia di Cova Redonda ha subito modifiche artificiali per ospitare più bagnanti, distruggendo habitat lungo tutto il fondale. Anche nell’arcipelago di Tonga, nel sud del Pacifico, la mancanza di regole negli incontri con le balene sta causando problemi ai grandi cetacei nel momento delicato della riproduzione.
Queste situazioni raccontano una stessa storia: ecosistemi vulnerabili sottoposti a pressioni che appaiono incompatibili con una gestione sostenibile. Ogni danno non è solo visibile, ma si traduce in perdita di specie e squilibri che potrebbero coinvolgere intere comunità dipendenti dal mare per vivere.
Cambiamenti necessari per il futuro
Marevivo richiama l’attenzione sulla necessità di cambiare approccio. La ricerca scientifica deve intensificarsi per mappare la biodiversità nascosta degli abissi e capire quanto la pressione umana stia alterando questi mondi. Solo dalla conoscenza emerge la possibilità di agire in modo mirato e contenere i danni.
Ma non basta raccogliere dati, serve una nuova consapevolezza culturale. Il turismo deve evolversi da passaggio veloce a momento di osservazione e rispetto dell’ambiente. Solo così è immaginabile una convivenza con ecosistemi marini che sostengono buona parte del pianeta. Rosalba Giugni conclude con un monito sulla realtà: il mare produce ossigeno, regola il clima, nutre miliardi di persone. Senza tutele concrete rischiamo di perdere spazi essenziali, lasciando solo tracce di quello che un tempo era vivo e pulsante.