Le frontiere europee sembravano destinate a scomparire con l’ingresso nello spazio Schengen, un progetto nato per favorire la libera circolazione di persone e merci tra i paesi membri. Oggi però assistiamo a un fenomeno opposto: i confini si rifanno vivi, si chiudono, si rafforzano. Lo scrittore Diego Marani ha evidenziato questo cambiamento durante l’evento “Com’è cambiata oggi la percezione del confine?”, parte della mostra “OPEN. Confini di luce per un mondo di pace”. L’osservazione parte dal dato che, nonostante i proclami sull’Europa senza frontiere, gli stati continuano a moltiplicare barriere fisiche e simboliche.
Il ritorno delle frontiere in europa e asia centrale
Negli ultimi trent’anni, la mappa politica di Europa e Asia centrale ha subito un aumento significativo dei confini. Secondo lo storico Michel Foucher, dal 1991 sono stati tracciati 30 mila chilometri di nuove frontiere, senza contare gli oltre 24 mila chilometri rappresentati da accordi o delimitazioni temporanee. Non solo linee immaginarie: si aggiungono circa 18 mila chilometri di muri, barriere o reticolati pianificati o costruiti. La presenza di queste nuove barriere delimita spazi fisici e serve a impedire movimenti indesiderati. Francia e Regno Unito guidano la graduatoria globale sul numero di frontiere, rispettivamente con il 17% e il 21% del totale mondiale.
Una nuova configurazione politica
Questa tendenza riflette una nuova configurazione politica. Il vecchio concetto di frontiera, visto spesso come simbolo di divisione e conflitto, appare oggi sotto una diversa luce. La cortina di ferro, per decenni simbolo della divisione tra est e ovest, sembrava destinata a svanire e invece si stanno costruendo nuove barriere, più sofisticate e meno visibili. In pratica, le frontiere non solo sono restate, ma si sono rafforzate.
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La percezione delle frontiere tra respingimento e identità
Marani sottolinea che dietro la crescita delle frontiere europee c’è una tensione profonda: la difficoltà a mescolarsi e accogliere l’altro. Non si tratta solo di controllo territoriale, ma di una volontà di separare, filtrare e spesso respingere persone in base a criteri di appartenenza culturale o razziale. Il risultato è una sorta di gerarchia degli ammessi e dei rifiutati, dove il riconoscimento dell’altro si trasforma in rifiuto o esclusione.
L’ostilità verso chi è percepito come diverso sembra prevalere sulla convinzione di una comunità condivisa. Questo atteggiamento genera una realtà sociale e politica dove i confini diventano più di semplici linee: sono barriere che limitano relazioni umane, iniziative culturali, scambi economici. Non a caso i muri e le barriere spesso accentuano le divisioni anziché ridurle. Marani mette in evidenza come questa chiusura sia in contrasto con l’idea originaria dell’Europa come spazio aperto.
Respingere o includere
I confini, quindi, si trasformano in strumenti di selezione culturale e politica, non solo in strumenti di difesa territoriale. Questo fenomeno riflette una crisi profonda di identità e accoglienza.
La sfida della fine dello stato-nazione e la ricerca di nuovi legami
Secondo Marani, la chiave per superare la proliferazione delle frontiere è lo superamento dello stato-nazione. Definito come “il più astruso e mortifero artificio politico della storia recente”, lo stato-nazione è alla radice di molti conflitti e tragedie del passato. Lo stesso concetto di confine nazionale nasce da identità spesso rigide e chiuse, che tendono a contrapporre popoli e culture.
Per Marani servirebbe un nuovo tipo di legame, fondato non sul controllo del territorio o su miti nazionali, ma su principi condivisi come libertà, democrazia, stato di diritto e pari opportunità. In questo quadro, il patriottismo cambierebbe volto e non si baserebbe più su un pezzo di terra, ma su valori comuni. Questa prospettiva richiede un ripensamento profondo della politica europea e internazionale, e implica nuove modalità di riconoscimento e inclusione.
Rimane evidente che la questione delle frontiere europee è più complessa di come appare. Dietro le decisioni politiche e diplomatiche si nascondono problemi di identità, sicurezza, e convivenza con la diversità. Le frontiere, quindi, continuano a segnare il contesto geopolitico in modi che influiscono su milioni di persone ogni giorno.