No alla illegittimità costituzionale nel subordinare l’aiuto al suicidio al bisogno di sostegno vitale

No alla illegittimità costituzionale nel subordinare l’aiuto al suicidio al bisogno di sostegno vitale

La Corte costituzionale conferma la non punibilità per l’aiuto al suicidio legata alla condizione medica, sollecita il Parlamento a una legge sul fine vita e denuncia le carenze nelle cure palliative in Italia.
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La Corte costituzionale ha confermato che l’aiuto al suicidio è non punibile solo in casi medici specifici, ribadendo la necessità di una legge sul fine vita e denunciando le gravi carenze nell’accesso alle cure palliative in Italia. - Gaeta.it

La Corte costituzionale ha chiarito un punto cruciale sul tema controverso dell’aiuto al suicidio in Italia. Con la sentenza n. 66 del 2025, ha respinto alcune questioni di legittimità sollevate su un articolo chiave del codice penale, confermando che la non punibilità per chi assiste una persona nel suicidio può dipendere dalla condizione medica specifica del paziente. Nel frattempo, la Consulta torna a richiamare il legislatore a intervenire con una legge sul fine vita, sottolineando le criticità ancora non affrontate nell’accesso alle cure palliative nel nostro Paese.

Il limite della non punibilità nel codice penale

L’articolo 580 del codice penale prevede la punizione per chi aiuta al suicidio, ma contempla una deroga per casi particolari in cui l’aiuto potrebbe non essere sanzionato. Questa deroga si applica se il paziente si trova in una situazione medica grave, che richiede un trattamento di sostegno vitale, valutato da un medico. L’interpretazione di questo requisito è stata al centro di diverse contestazioni, perché lega la possibilità di togliere la punibilità a un quadro clinico molto specifico.

Il gip di Milano aveva portato la questione davanti alla Corte costituzionale, dopo che il pubblico ministero aveva chiesto la chiusura di due indagini su aiuto al suicidio. La preoccupazione riguardava l’eventuale contrasto della norma con i principi costituzionali. La Corte, però, ha negato questa illegittimità. Ha confermato che il vincolo medico previsto è legittimo e necessario per distinguere casi in cui l’aiuto potrebbe essere considerato ammissibile da quelli dove resta punibile.

Un riferimento alla sentenza precedente

Il verdetto ha ripreso praticamente quanto stabilito nella sentenza n. 135 del 2024, che aveva già affrontato temi simili. Questa decisione conferma inoltre una linea chiara nelle scelte giuridiche italiane su un argomento delicato e molto dibattuto, chiarendo che la valutazione clinica resta centrale per stabilire la possibilità o meno di procedere senza conseguenze penali per chi supporta il suicidio del paziente.

Il richiamo della consulta per una legge sul fine vita

La Corte costituzionale ha ribadito più volte, nel corso degli anni, la necessità di una legge chiara sul fine vita. Nel testo della recente sentenza ha nuovamente esortato il Parlamento a intervenire rapidamente affinché si definiscano norme precise che regolamentino queste situazioni. Si tratta di un tema complesso, che coinvolge non solo questioni giuridiche ma anche etiche e sanitarie.

La giurisprudenza da sola non può colmare il vuoto legislativo, hanno messo in evidenza i giudici. Un quadro normativo dettagliato è indispensabile per dare certezze sia ai pazienti sia a chi li assiste, con tutele ben definite e standard uniformi in tutto il territorio nazionale. L’assenza di una legge ha lasciato spazio a molte interpretazioni e disparità nell’applicazione delle norme esistenti.

Necessità di regole chiare

La richiesta di una norma specifica riguarda anche il fatto che servano regole più chiare su come affrontare la sofferenza di chi è affetto da malattie irreversibili, tenendo conto delle volontà personali, ma anche del ruolo e dei limiti della medicina. L’assenza di un consenso legislativo in questo campo produce spesso confusione nelle aule di giustizia e crea incertezze nei professionisti della salute.

Le carenze nell’accesso alle cure palliative in italia

Oltre alle questioni giuridiche, la Corte ha sottolineato gravi problemi nell’erogazione delle cure palliative nel nostro Paese. L’accesso a questi servizi, fondamentali per garantire dignità e sollievo a chi si trova in condizioni terminali o con sofferenze invalidanti, non è omogeneo né garantito per tutti.

Sono state riscontrate liste d’attesa lunghe, soprattutto nelle regioni meno attrezzate, che impediscono un’assistenza tempestiva. Le strutture spesso non dispongono del personale necessario, a causa di una formazione carente o della scarsità di operatori specializzati. Questo si traduce in una distribuzione geografica che penalizza alcune zone a vantaggio di altre.

Supporto sociosanitario insufficiente

In vari contesti, anche quando le cure palliative sono disponibili, il servizio sanitario sociosanitario non riesce a garantire un reale supporto costante e qualificato. Ci sono situazioni in cui il coinvolgimento è frammentato o insufficiente, lasciando molte persone e famiglie senza un supporto adeguato per gestire il dolore e le conseguenze della malattia.

Questi rilievi offrono uno spaccato chiaro delle difficoltà reali che vivono i pazienti, evidenziando come la questione del fine vita non possa essere affrontata solo da un punto di vista legislativo giuridico. Servono azioni concrete e investimenti mirati per migliorare l’assistenza, specialmente nelle cure palliative domiciliari e ospedaliere.

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