La storia di Mohamed Keita racconta di un ragazzo ivoriano arrivato in Italia da minore non accompagnato, che ha superato sfide enormi fino a diventare fotografo e protagonista di progetti per giovani nelle periferie africane e romane. Intanto migliaia di adolescenti continuano a partire da paesi in guerra o povertà, affrontando viaggi durissimi. Una volta in Italia, però, le difficoltà non finiscono: la strada verso l’accoglienza e l’inclusione è spesso segnata da ostacoli burocratici, limiti temporali nei centri d’accoglienza e mancanza di supporto adeguato. Le norme ci sono, ma la realtà si scontra con ritardi e mancanze.
Percorsi di fuga e viaggi tra rischi e incertezze
Molti minori arrivano in Italia dopo traversate estenuanti, spesso passando per diversi paesi e territori difficili. Partendo da zone dell’Africa subsahariana segnate da conflitti o miseria, questi ragazzi affrontano deserti, attraversano il Mediterraneo su imbarcazioni precarie, scappano da violenze e privazioni. Il viaggio è un percorso a ostacoli nel quale ogni tappa può nascondere pericoli gravi: sfruttamento, abusi, malattie. Spesso hanno con sé solo qualche bagaglio di speranze. Tra il 2014 e il 2024 i minori stranieri non accompagnati che hanno raggiunto le coste italiane via mare sono stati circa 127 mila. Il numero più alto riguarda adolescenti e preadolescenti, mentre solo una piccola parte sono bambini molto piccoli.
Le sfide al loro arrivo
Chi arriva oltrepassa sofferenze fisiche e psicologiche profonde. Per esempio, molti sono costretti a cercare lavoro appena sbarcati, per aiutare le famiglie rimaste nei paesi d’origine. Questa responsabilità toglie loro la possibilità di vivere un’adolescenza normale. Le organizzazioni che si occupano di accoglienza cercano di offrire anche spazi di socialità e crescita, come laboratori artistici e sportivi che aiutano a ricostruire qualche frammento di innocenza o speranza lontano dalle difficoltà quotidiane.
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Le difficolta dell’accoglienza nei centri e i limiti del sistema
La prima accoglienza per molti minori avviene nei centri diurni e nei Cas dove spesso vengono ospitati oltre il limite previsto. La legge stabilisce che la permanenza nei Cas non dovrebbe superare i 45 giorni, ma non è raro che i ragazzi restino anche mesi, a volte anni, in condizioni non adatte a sostenere un processo di integrazione autentico. Questa situazione frena il percorso scolastico e la partecipazione a programmi educativi, con il rischio che pure dopo il compimento della maggiore età si finiscano per essere abbandonati o indirizzati verso comunità per adulti.
Niccolò Gargaglia di Save the Children ha sottolineato come “la mancanza di una gestione veloce e mirata dell’accoglienza blocchi i minori in strutture che non rispondono alle loro esigenze.” Alcuni, nel tentativo di sfuggire a queste condizioni, si spostano verso grandi centri urbani o cercano di attraversare i confini verso altre nazioni. Questo fenomeno accresce l’instabilità e la precarietà di ampliare lo spazio di inserimento reale nella società italiana.
La legge zampa e le norme per la tutela dei minorenni
In Italia, la legge 47 del 2017, nota come legge Zampa, ha introdotto alcune regole che migliorano la situazione di questi ragazzi. Tra le norme principali c’è il divieto assoluto di respingere i minori non accompagnati alle frontiere. La legge ha definito procedure per accertare l’età, spesso difficile da stabilire senza documenti, e ha previsto standard minimi per le strutture di accoglienza. Si promuove inoltre il ricorso all’affido familiare e la nomina di tutori volontari che affiancano il minore nei passaggi cruciali.
Diritti sanciti dalla normativa
La normativa ha sancito alcuni diritti fondamentali: dal diritto a ricevere cure sanitarie adeguate, all’accesso all’istruzione fino alle garanzie nei processi giudiziari in cui siano coinvolti. Permette di costruire un percorso che dovrebbe accompagnare il minore verso una qualche forma di autonomia, ma la sua applicazione concreta resta complicata.
Ostacoli burocratici e limiti del percorso di integrazione
La fase di riconoscimento dello status di minore e di avvio dei relativi diritti segna l’inizio di un cammino delicato e spesso irto di ostacoli. Molti ragazzi arrivano senza documenti, e l’accertamento dell’età si basa su strumenti medici e valutazioni che possono essere imprecisi, esponendoli al rischio di essere considerati maggiorenni. Questo complica il rilascio del permesso di soggiorno. Senza permesso, non è possibile accedere a servizi essenziali o a percorsi scolastici strutturati.
Una figura chiave è quella del tutore legale che rappresenta il minore e tutela i suoi interessi. Questo ruolo spesso viene affidato temporaneamente al personale delle comunità che ospitano i ragazzi o a pochi volontari. Il peso è elevato, la carenza di tutori adeguati limita la protezione di ciascun minore e rallenta interventi urgenti. Si registrano casi in cui un tutore segue anche più minorenni contemporaneamente, senza potersi dedicare a ciascuno come sarebbe necessario.
I ritardi amministrativi incidono parecchio. Il tempo perso nel riconoscimento, nei permessi e nelle procedure burocratiche rischia di ridurre le possibilità di inserimento scolastico e lavorativo. Così, molti giovani si ritrovano esclusi da opportunità di crescita e spesso finiscono per percorsi di marginalità.
La storia di chi è riuscito a superare queste difficoltà dimostra quanto sia indispensabile continuare a migliorare l’accoglienza e l’assistenza per i minori soli in Italia. Ogni ritardo o insufficienza può incidere sulla vita di un giovane in fuga, compromettendone le prospettive e il futuro in un paese straniero.