Milano, uccisa a coltellate la barista che temeva la violenza del collega detenuto

Milano, uccisa a coltellate la barista che temeva la violenza del collega detenuto

La tragedia all’hotel Berna di Milano evidenzia le paure di Chamila Wijesuriya e le possibili omissioni nella gestione di Emanuele De Maria, detenuto per femminicidio ammesso al lavoro esterno.
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Il 9 maggio 2025 a Milano, Chamila Wijesuriya, barista dell’hotel Berna, è stata uccisa da Emanuele De Maria, detenuto ammesso al lavoro esterno. L’inchiesta indaga su possibili omissioni nella valutazione della pericolosità dell’aggressore e sulle responsabilità istituzionali. - Gaeta.it

La tragedia avvenuta il 9 maggio scorso all’hotel Berna di Milano ha acceso i riflettori sulle dinamiche interne che hanno preceduto l’omicidio di Chamila Wijesuriya, barista di 50 anni. Il responsabile è Emanuele De Maria, 35 anni, detenuto per femminicidio ammesso al lavoro esterno proprio nell’albergo. Gli accertamenti della procura si concentrano sulle possibili mancate segnalazioni e sottovalutazioni riguardo alla pericolosità dell’uomo.

Il contesto della tragedia all’hotel berna

Chamila Wijesuriya lavorava come barista all’hotel Berna di Milano. Il 9 maggio 2025, è stata uccisa a coltellate da Emanuele De Maria, che stava svolgendo un lavoro esterno durante la sua detenzione. L’aggressione ha scosso l’ambiente lavorativo e ha consolidato la paura che alcuni colleghi già nutrivano nei confronti di De Maria.

Il giorno dopo l’omicidio, l’uomo ha inoltre tentato di colpire un altro dipendente, Hani Fouad Nasra, che in precedenza aveva avvisato la vittima sulla pericolosità dell’aggressore. Questa nuova aggressione ha confermato la gravità della situazione. La presenza di De Maria all’hotel era legata a una misura che consentiva l’attività lavorativa fuori dal carcere, anche se chiaramente non era stata presa in considerazione la reale minaccia che rappresentava per i colleghi.

Le paure espresse dalla vittima e i segnali ignorati

Chamila aveva manifestato timori specifici riguardo alla possibilità di essere vittima di violenza da parte di De Maria. Le testimonianze raccolte tra i colleghi confermano che la donna temeva per la sua incolumità, motivo di preoccupazione che non avrebbe trovato adeguata risposta prima del tragico evento.

L’inchiesta aperta dalla procura sta approfondendo se ci siano stati errori da parte degli enti coinvolti nella gestione del detenuto, e se siano state trascurate indicazioni importanti sia riguardo la pericolosità dell’uomo, sia direttamente dalla vittima e dai colleghi. Emergono così dubbi sulle procedure di valutazione adottate nel concedere il lavoro esterno e sulla comunicazione tra istituti penitenziari e strutture ospitanti.

L’iter giudiziario e le indagini in corso

Gli accertamenti procedono per chiarire dinamiche e responsabilità. La procura esamina le eventuali mancate segnalazioni nel percorso di De Maria, cercando di capire chi, e se, avrebbe potuto intervenire per evitare l’omicidio. Si valuta anche come fosse gestita la sorveglianza e quali misure di sicurezza fossero effettivamente in campo.

In particolare, si vuole stabilire se l’uomo fosse stato considerato troppo rischioso per svolgere attività lavorativa fuori dal carcere e se fossero usciti segnali d’allarme sufficienti per modificarne la situazione. Le testimonianze degli altri dipendenti, tra cui quella di Hani Fouad Nasra, assumono un ruolo chiave nel ricostruire gli eventi e capire il clima che si respirava in hotel nelle settimane precedenti.

L’attenzione rimane alta, sia sull’uomo che sulle istituzioni coinvolte, per accertare tutte le responsabilità e fare chiarezza su un fatto di cronaca che ha posto ancora una volta in luce le difficoltà della gestione di persone condannate per violenza di genere fuori dalle strutture penitenziarie.

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