La corte di assise di Milano ha emesso di recente una sentenza che ha assolto un uomo accusato dell’omicidio della madre, avvenuto a dicembre 2023. La decisione si basa sul riconoscimento di un disturbo psichiatrico grave che ha influenzato direttamente il gesto violento. Il caso ha attirato l’attenzione anche per le modalità e le motivazioni che hanno portato al tragico evento. I dettagli della sentenza, i riscontri medici e le reazioni delle parti coinvolte delineano un quadro complesso, segnato dalla sofferenza mentale e dalle conseguenze giudiziarie di questa mancata coscienza del crimine.
I fatti dell’omicidio e il profilo dell’imputato
Guido Pozzolini Gobbi Rancilio, 36 anni, è stato accusato di aver ucciso sua madre Fiorenza, un’ereditiera legata a una famiglia nota nel campo immobiliare milanese. L’episodio si è consumato nella loro abitazione di Milano alla fine del 2023. L’uomo, affetto da schizofrenia paranoide, avrebbe agito spinto da convinzioni deliranti secondo cui il gesto avrebbe evitato alla madre “le sofferenze della vivisezione”. La sua convinzione è stata al centro della perizia psichiatrica, che ha evidenziato un quadro mentale totalmente alterato al momento del delitto.
Il delitto non si è limitato allo strangolamento. Dopo averla soffocata, Rancilio ha colpito la testa della madre con un manubrio da palestra per impedire che il cervello potesse essere “rubato” da chi, nella sua mente, avrebbe potuto compiere tale atto. Questa dinamica ha alimentato l’interpretazione medica, rivelando come le ossessioni deliranti abbiano condotto a un’escalation di violenza fisica non contenuta.
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Il ruolo della malattia psichiatrica nel processo e nella decisione della corte
Nel lungo iter processuale, la malattia mentale di Rancilio ha giocato un ruolo cruciale. Il perito nominato dalla corte ha sottolineato che lo stato psicotico dell’imputato non solo ha influito, ma ha determinato il suo comportamento criminale. Secondo gli esperti, l’ideazione delirante era talmente intensa da cancellare ogni capacità di autocontrollo o valutazione della realtà.
La corte ha evidenziato che Rancilio era in una condizione di incapacità totale di intendere e volere quando ha compiuto l’omicidio. Questo ha portato i giudici a formulare l’assoluzione per vizio totale di mente, riconoscendo che l’elemento psicopatologico è stato la causa esclusiva dell’atto. La misura di sicurezza stabilita è una permanenza di dieci anni in una Rems , per garantire la tutela della società e al contempo l’assistenza sanitaria dell’imputato.
Le implicazioni legali e la posizione delle parti durante il processo
La sentenza affidata alla corte presieduta da Antonella Bertoja ha accolto le conclusioni della pubblica accusa rappresentata dalla pm Ilaria Perinu, che aveva riconosciuto l’effetto decisivo della malattia mentale nel caso. La difesa, pur sostenendo la presenza di un disturbo psichiatrico, aveva richiesto una valutazione che tenesse conto dell’incapacità totale di intendere e volere.
Gli avvocati Salvatore Pino e Federico Cecconi, che assistevano i familiari della vittima, hanno infine deciso di revocare la costituzione di parte civile. Non sono state fornite dichiarazioni ufficiali sulle motivazioni di questa scelta, ma si presenta come una decisione che chiude lo sviluppo processuale verso la ricerca di un risarcimento civile legato al delitto.
Riflessioni sulla responsabilità penale e la malattia mentale
La sentenza rappresenta uno dei casi in cui la distinzione tra responsabilità penale e malattia mentale influisce direttamente sull’esito giudiziario, confermando il principio che la psicosi può annullare la capacità di comprendere e controllare i propri atti, alterando la percezione di chi compie il reato.