La scarcerazione di Giovanni Brusca, storico boss di Cosa nostra coinvolto nelle stragi degli anni ’90, ha riacceso un dolore profondo tra le famiglie delle vittime. Luciano Traina, fratello di Claudio, agente della scorta del giudice Paolo Borsellino ucciso nella strage di via d’Amelio, esprime amarezza e un forte senso di ingiustizia. Il ritorno alla libertà di Brusca, dopo decenni di processo e detenzione, non chiude il capitolo delle ferite ancora aperte per chi ha perso i propri cari in quegli anni di violenza.
La memoria di un arresto e il dolore che rimane
Nel maggio 1996, Luciano Traina partecipò all’arresto di Giovanni Brusca, il “scannacristiani” noto per la sua ferocia. Quel momento è impresso nella sua memoria come un ricordo tragico e tangibile. Brusca, sorpreso nel villino a contrada Cannatello ad Agrigento, si presentò in modo quasi banale, a piedi nudi e senza maglietta, mentre teneva un telefono in mano. L’ironia del momento, però, non smorza la carica emotiva: quell’uomo, responsabile di decine di morti, rappresentava un volto del male concreto, che ora torna a camminare libero.
Per Traina, vedere Brusca libero è come ricevere un colpo al cuore. Non c’è soddisfazione nel suo rilascio, nonostante la legge sulla collaborazione di giustizia sia stata voluta da Giovanni Falcone. Il tempo trascorso – oltre trent’anni – non ha portato la verità che le famiglie attendono, e proprio questo è motivo di un dolore straziante, un “ergastolo” invisibile che ancora pesa su chi ha perso qualcuno.
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Il nodo irrisolto dei mandanti e la verità nascosta
Le stragi come quella di via d’Amelio e di Capaci hanno lasciato vuoti profondi nelle indagini. Per trent’anni, la sentenza ha colpito soprattutto la manovalanza, senza mai individuare chiaramente i mandanti di quegli attentati. Luciano Traina non nasconde la frustrazione per questa lacuna. Chi ha ucciso suo fratello Claudio e il giudice Borsellino? Qual è stata la mente dietro quei delitti?
La narrazione ufficiale ha spesso indicato la mafia come unica responsabile, ma per Traina questa spiegazione appare incompleta. La verità che continua a sfuggire è, per lui, un buco nero in cui svaniscono i nomi e i volti di chi ha realmente orchestrato quegli eccidi. La sensazione è che, nonostante gli anni e le inchieste, non emergerà mai quella verità definitiva di cui avrebbero bisogno le famiglie.
Il dubbio sul pentimento di brusca e il bilancio di decenni di attesa
Luciano Traina non crede al pentimento di Brusca. Considera impossibile che uno che ha ordinato e partecipato all’uccisione di oltre 150 persone possa davvero pentirsi per motivi morali. Il discorso del pentimento sembra piuttosto legato a un interesse personale, forse un accordo che ha portato alla sua liberazione anticipata.
In più, i nomi rivelati da Brusca come mandanti o complici erano già noti agli investigatori. Questo ha accentuato, nel fratello di Claudio, la sensazione che il suo contributo non abbia realmente avvicinato la giustizia a far luce su tutte le responsabilità. L’amarezza si somma alla consapevolezza che per più di tre decadi le famiglie hanno ascoltato solo promesse e parole di circostanza, senza mai potersi avvicinare a una vera chiarezza su chi ha fatto morire i loro cari. La richiesta di Traina è semplice: sapere perché suo fratello, i giudici Falcone e Borsellino e gli altri siano stati uccisi, non è un ulteriore dettaglio da aggiungere a una storia già segnata dalla morte e dal silenzio.