L’italia continua a vivere sotto la pressione di eventi franosi che interessano vaste aree del territorio nazionale. Secondo i dati aggiornati al 2025, le frane registrate dall’inizio dell’anno sono già dieci, mentre nel corso del 2024 si sono verificate 129 situazioni di dissesto. Questi fenomeni naturali rappresentano una minaccia concreta per diversi territori, specialmente quelli collinari e montuosi, dove le condizioni geologiche e climatiche favoriscono il distacco di massi e movimenti di terreno.
L’ultima frana di maggio nel vicentino e i numeri nazionali delle frane
Il 28 maggio 2025, un masso si è staccato da un versante nel comune di Foza, in provincia di Vicenza, ed è finito sulla carreggiata di una strada provinciale. L’evento ha richiamato nuovamente l’attenzione sul dissesto idrogeologico, soprattutto perché il sito di monitoraggio IdroGeo dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale documenta queste situazioni con estrema precisione.
Da oltre 636mila frane censite nel corso della storia italiana, emerge un quadro complesso che dimostra quanto sia diffuso il fenomeno. Solo nel 2025 le frane già monitorate sono una decina, un numero minore rispetto alle 129 di tutto il 2024, ma sufficiente per ricordare che il rischio permane alto. I dati raccolti mostrano come queste calamità rappresentino un pericolo spesso difficile da prevedere con ampio anticipo, a causa della variabilità della natura e dei fattori che le scatenano.
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Impatto del cambiamento climatico sulle frane in italia
Il mutamento climatico gioca un ruolo determinante nella frequenza e nell’intensità delle frane sul suolo italiano. Fausto Guzzetti, ricercatore dell’Istituto di Matematica Applicata e Tecnologie Informatiche e membro dell’Accademia Nazionale dei Lincei, ha spiegato che l’italia è la nazione europea con il maggior numero di frane registrate.
Il peggioramento delle condizioni climatiche, con eventi piovosi più intensi e concentrati in brevi periodi, aumenta la pressione sul terreno rendendo più probabili le frane. Guzzetti ha ricordato come le alluvioni di maggio 2023 in Emilia-Romagna abbiano generato oltre 80mila frane in pochi giorni, un numero notevole che evidenzia come la relazione fra eventi atmosferici estremi e dissesto sia diretta. La natura del territorio italiano contribuisce a questo fenomeno, con la sua topografia spesso ripida e un terreno soggetto all’erosione.
La distribuzione della pericolosità e il numero delle persone coinvolte
Le mappe della piattaforma IdroGeo rivelano che gran parte dell’italia, esclusa la pianura più estesa, presenta situazioni di elevata pericolosità legate al rischio frane. L’analisi del dato demografico mostra come oltre 1,3 milioni di persone vivano in zone considerate a rischio, vale a dire circa il 2,2% della popolazione nazionale.
Queste cifre indicano che il dissesto idrogeologico non rappresenta solo un problema ambientale o naturalistico, ma una vera emergenza sociale. I numeri confermano la vulnerabilità di molti centri abitati e infrastrutture, soggetti a danni materiali e conseguenze sul piano della sicurezza. Le frane possono interrompere strade, danneggiare case, mettere a rischio vite umane, e spesso sostengono l’emergenza anche nelle operazioni di soccorso e tutela.
Le vittime e gli sfollati nel lungo periodo dal 1974 al 2023
Dal 1974 al 2023, le frane hanno provocato la morte di 1.060 persone e hanno costretto oltre 138mila individui a lasciare temporaneamente le proprie abitazioni. Questi dati, presentati da Paola Salvati dell’Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica del Cnr durante un convegno a Roma, offrono un dato concreto sull’impatto umano del dissesto idrogeologico in italia.
Le vittime sono concentrate spesso in periodi caratterizzati da eventi meteorologici particolarmente intensi e repentini. Allo stesso tempo, le comunità si trovano a gestire situazioni di emergenza e ricostruzione, affrontando spese elevate e complicazioni legate alla prevenzione. La storia delle frane parla anche di una fragilità diffusa, non solo della geologia ma dell’organizzazione territoriale. La sfida resta aperta per limitare i rischi e migliorare la sicurezza delle zone più esposte.