L’evoluzione dell’esercito statunitense sotto l’amministrazione Trump nel 2025 eleva nuove inquietudini sul ruolo che le forze armate sono chiamate a svolgere nel Paese. Il discorso del presidente, tenuto in una base militare intitolata a un generale confederato, ha messo in luce un cambio di prospettiva radicale, lontano dalle tradizionali motivazioni difensive contro minacce esterne. La trasformazione del ruolo dell’esercito sembra puntare verso un dominio interno, con un accento sulla lealtà personale piuttosto che verso la Costituzione e la democrazia.
Le riforme nelle alte cariche militari e la loro portata politica
Da quando Donald Trump ha ripreso possesso della Casa Bianca, la riorganizzazione delle forze armate ha proceduto con decisione. Il segretario alla Difesa, Pete Hegseth, ha scartato una decina di generali di alto rango, tra cui il presidente dello stato maggiore congiunto. La riduzione programmata comprende un taglio del 20% dei generali a quattro stelle e del 10% tra quelli di grado inferiore.
Queste scelte non seguono soltanto criteri di efficienza militare ma riflettono una strategia politica precisa, che mira a consolidare una linea di comando più fedele al presidente. Cambiare la leadership militare con soggetti più allineati a visioni specifiche della sicurezza consente a Trump di esercitare un controllo diretto su chi detiene il comando operativo. Di certo, una tale riduzione non è un semplice rinnovamento generazionale, ma una mossa che incide sulla struttura di potere interna, alterando equilibri consolidati e creando tensioni all’interno delle Forze armate.
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Il discorso di trump e il nuovo volto della sicurezza nazionale
Nel discorso pronunciato a una base che porta il nome di un generale confederato, Trump si è distaccato da ogni tradizione di politica estera e difesa comune. Non ha fatto alcun riferimento alle crisi globali in corso, come l’invasione russa dell’Ucraina o il crescente confronto con la Cina. Neppure ha menzionato i diritti fondamentali o i principi democratici, tradizionalmente difesi dall’esercito.
Al contrario, ha usato la storia militare degli Stati Uniti come piattaforma per costruire il proprio culto personale. I successi militari diventano tappa per sostenere un’autorità permanente, in cui la politica si riduce a una lotta e il leader definisce chi è il nemico da affrontare. Lo scenario evocato ha un’impronta chiaramente fascista, con la forza armata destinata a reprimere avversari interni e garantire l’autorità del capo.
Il paragone tra il coraggio dei soldati impegnati in guerre passate e il ruolo contemporaneo rispetto agli immigrati irregolari conferma questa interpretazione. Trump chiede alle truppe di vedersi come eroi non solo nelle battaglie all’estero ma anche in operazioni contro cittadini disarmati in patria. È un ribaltamento della funzione militare, da difensore a strumento di controllo interno.
La personalizzazione estrema della presidenza e il ruolo dei militari
Trump ha sfidato uno dei principi base dell’ordinamento militare statunitense: il servizio verso la Costituzione, e non verso un individuo. Nel suo discorso ha dileggiato il suo predecessore, rivelando l’intenzione di incanalare la lealtà delle forze armate esclusivamente verso sé stesso. Questo cambiamento suggerisce che il potere del presidente poggia su un carisma personale o una forma quasi sacrale di autorità.
Nel contesto storico americano questa visione non ha precedenti recenti. La militarizzazione della figura presidenziale aumenta il rischio di trasformare l’esercito in una guardia personale, al servizio di un potere non limitato da controlli istituzionali. Il modo in cui Trump ha promesso un “aumento generalizzato” alle truppe in cambio della loro fedeltà mostra la natura clientelare di questo rapporto, somigliante al controllo impiegato da regimi autoritari.
L’attacco ai giornalisti e alla società civile come parte della strategia di controllo
Il discorso non si limita a rivolgersi ai militari, ma incoraggia apertamente l’ostilità contro giornalisti e manifestanti, tipologie protette dal Primo emendamento della Costituzione. Nei confronti dell’opinione pubblica critica, Trump ha suggerito che la legge e la società stessa contano poco, ponendo la sua figura come unico punto di riferimento.
Questa linea alimenta una violenta spaccatura interna, delegittimando il ruolo delle istituzioni democratiche di controllo e di protezione dei diritti civili. Il coinvolgimento delle forze armate in queste dinamiche rischia di gettare il Paese in uno scontro sociale violento, in cui chi dissente diventa nemico interno da contrastare anche con la forza.
Il richiamo alla confederazione e la ricostruzione di un’identità militare controversa
Tenere il discorso in una base dedicata a Robert E. Lee, generale dei Confederati, non è un dettaglio casuale. La celebrazione di una figura associata alla difesa della schiavitù evoca tensioni irrisolte sulla storia nazionale. Questo richiamo spesso riguarda movimenti di estrema destra, pronti a rivendicare con orgoglio caratteristiche di quel passato.
L’idea di un esercito che diventi un’istituzione paramilitare personale, pronta a reprimere migranti e oppositori, porta a forti attriti interni. Le forze armate statunitensi si basano su diversità culturale ed etnica, con una presenza significativa di afroamericani e altre minoranze. La loro strumentalizzazione potrebbe minare la coesione e la reputazione del corpo militare, esponendo il Paese a tensioni che vogliono evitare da tempo.
Le implicazioni per la democrazia americana e la risposta della società
L’uso di termini come “invasione” per descrivere la migrazione mira a giustificare l’impiego militare sul territorio nazionale contro cittadini disarmati. Questo linguaggio trasforma la politica migratoria in uno scontro di guerra, facilitando la classificazione di chi dissente come nemico interno.
La risposta popolare non si è fatta attendere. In concomitanza con le celebrazioni militari per il 250° anniversario, che hanno raccolto poco favore, oltre quattro milioni di persone hanno manifestato in circa 2.100 località per chiedere la difesa della democrazia e il rispetto dei diritti civili. La massa partecipante ha superato di gran lunga i numeri delle cerimonie ufficiali, dimostrando che l’identità collettiva americana persiste e si attiva contro derive autoritarie.
Questa mobilitazione evidenzia come le idee di Trump non siano condivise da una significativa fetta della popolazione. Il futuro dell’esercito e del paese rimane incerto, sospeso tra forze che vogliono riportare indietro la democrazia e chi invece la difende con forza.