Il clima che cambia ha effetti evidenti anche sugli oceani. Negli ultimi vent’anni, le zone marine con bassi livelli di nutrienti e scarsa biodiversità si sono allargate quasi del doppio, mettendo a rischio la salute degli ecosistemi marini e alterando equilibri cruciali per il pianeta. Un’équipe internazionale guidata dall’Enea, in collaborazione con l’Istituto di Scienze Marine Ismar-Cnr e il laboratorio cinese State Key Laboratory of Satellite Ocean Environment Dynamic, ha analizzato queste modifiche profonde, fornendo dati significativi sulle trasformazioni in atto negli oceani.
Aumento delle aree oceaniche povere di nutrienti e biodiversità
Secondo questa ricerca, pubblicata su Geophysical Research Letters, le zone oceaniche caratterizzate dalla scarsità di nutrienti, chiamate gyres subtropicali, sono passate dal 2,4% al 4,5% della superficie globale oceanica in poco più di vent’anni. Si tratta di aree dove la vita marina fatica a svilupparsi a causa della ridotta disponibilità di elementi essenziali per l’ecosistema. Questo fenomeno si traduce in una perdita di biodiversità e nella diminuzione della produttività biologica, con conseguenze che possono riguardare non solo la fauna marina ma anche i sistemi climatici globali. La crescita di queste “zone morte” rappresenta un campanello d’allarme per la salute degli oceani.
Le aree più colpite si trovano principalmente nelle aree tropicali e subtropicali, regioni vulnerabili che vedono il progressivo impoverirsi delle loro acque. In queste zone, il mancato apporto di nutrienti compromette la catena alimentare marina, ponendo sotto stress molte specie e causando un effetto domino che può arrivare a influenzare interi habitat marini. La ricerca ha puntato particolare attenzione sull’Oceano Pacifico settentrionale, dove la crescita di queste aree è stata stimata intorno a 70mila chilometri quadrati all’anno, una superficie ampia come alcuni stati.
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Il ruolo del fitoplancton nella catena alimentare marina e nel bilancio del carbonio
Un punto chiave dello studio riguarda il fitoplancton, quell’insieme di microrganismi che svolgono funzioni essenziali per gli ecosistemi marini e per il controllo del clima. In quanto produttori primari, questi minuscoli organismi fotosintetici rimuovono anidride carbonica dall’atmosfera e la trasformano in biomassa, dando inizio alla catena alimentare oceanica. Se il fitoplancton diminuisce, l’intero sistema marino risente di tensioni importanti, dalla perdita di specie fino al peggioramento dei processi di assorbimento del carbonio.
Gli scienziati hanno evidenziato come la riduzione dei nutrienti provochi un calo nella crescita del fitoplancton, facendo impennare la vulnerabilità ecologica. Le conseguenze si estendono lungo tutta la catena alimentare, toccando pesci, mammiferi marini e uccelli. Senza una base produttiva solida, la stabilità degli ecosistemi marini rischia di rompersi, intaccando anche la capacità degli oceani di svolgere funzioni climatiche fondamentali.
Come il riscaldamento globale modifica la struttura degli oceani
L’aumento delle zone povere di nutrienti è causato in gran parte dal riscaldamento globale. Il fenomeno termico altera la struttura degli oceani, portando l’acqua superficiale a riscaldarsi e a diventare meno densa. Questo strato caldo si stratifica impedendo il normale ricambio con le acque più fredde e nutrienti che stanno in profondità.
Chiara Volta, ricercatrice del laboratorio Enea, ha spiegato che l’acqua calda più leggera resta sopra, e blocca il flusso verticale dei nutrienti necessari alla vita marina. L’effetto di questa stratificazione è la progressiva “desertificazione” degli oceani, un termine che indica appunto la riduzione di zone produttive e il deterioramento degli habitat.
L’analisi dei dati satellitari dal 1998 al 2022
Per valutare l’entità dei cambiamenti, i ricercatori hanno messo a confronto dati satellitari raccolti tra il 1998 e il 2022. Hanno analizzato le concentrazioni di clorofilla e la distribuzione del fitoplancton in cinque vortici oceanici principali : due nell’Atlantico, due nel Pacifico e uno nell’Oceano Indiano.
Questi grandi sistemi circolari di correnti hanno mostrato un’espansione significativa delle aree con bassi nutrienti. La serie storica di quasi 25 anni ha permesso di scorgere tendenze chiare e preoccupanti, evidenziando la velocità del degrado degli ambienti marini. Si tratta di dati utili per pianificare future strategie di monitoraggio e conservazione degli oceani, ma anche per comprendere meglio l’impatto del clima sul ciclo del carbonio e sul funzionamento degli ecosistemi marini.
Gli oceani si mostrano sempre più vulnerabili al riscaldamento globale e questa ricerca attribuisce a quel lento ma costante aumento termico una responsabilità diretta nei cambiamenti nutritivi e biologici delle acque. Si tratta di segnali che richiedono attenzione, visto il ruolo centrale degli oceani nella regolazione del clima mondiale e nella biodiversità planetaria.