Il lavoro domestico rimane un ambito cruciale per il sostegno alle famiglie italiane, ma continua a soffrire di una pesante presenza di irregolarità, disparità territoriali e un marcato divario di genere. Un recente studio realizzato dal Centro di Ricerca Luigi Einaudi di Torino per conto di Nuova Collaborazione conferma la vastità del fenomeno e mette in luce la necessità di una strategia nazionale per regolare e valorizzare questo settore.
Disparità tra nord e sud: i divari territoriali nella regolarizzazione e nell’offerta di servizi di cura
Il lavoro domestico si distribuisce in modo diseguale sul territorio italiano. Al nord-ovest e nel centro si registra una maggiore diffusione di impieghi regolari, oltre che un più alto numero di lavoratori stranieri impiegati. In regioni come Lombardia, Emilia-Romagna e Lazio, i contratti regolari coprono circa il 31% del totale nazionale e l’80% dei lavoratori sono stranieri. Qui la presenza di servizi pubblici più strutturati agevola la contrattualizzazione e supporta le famiglie nel trovare assistenza.
Nel sud e nelle isole la situazione è completamente diversa. Le assunzioni in regola sono molto meno frequenti e la quota di lavoratori stranieri scende anche al di sotto del 40% in alcune regioni come Molise e Basilicata. Questi dati riflettono flussi migratori più modesti e un sistema che fatica a regolarizzare il lavoro domestico. Un ulteriore problema deriva dalla carenza di servizi pubblici: circa il 30% delle famiglie meridionali dichiara l’assenza di asili nido e più della metà segnala la mancanza di centri per anziani nei quartieri in cui risiede.
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Un impatto diretto sull’occupazione femminile
Questa mancanza di strutture incide direttamente sul tasso di occupazione femminile. Nel centro-nord lavora più di sessanta donne ogni cento, mentre nel Mezzogiorno la percentuale scende a poco più di trenta. La difficoltà di conciliare lavoro e cura in assenza di servizi diminuisce fortemente le opportunità per le donne, aggravando le disparità sociali ed economiche già presenti nel sud.
La realtà del lavoro domestico: numeri e caratteristiche del settore
Nel 2023 il numero di lavoratori domestici regolari registrati ha raggiunto quota 833.874, di cui quasi il 90% erano donne. Ma la fotografia completa della forza lavoro del comparto va oltre questi dati ufficiali. Le stime dell’Istat parlano infatti di oltre 1,6 milioni di persone impegnate in queste mansioni, con circa la metà impiegata in nero o in condizioni irregolari. Il lavoro domestico rappresenta il settore con il più alto tasso di sommerso in tutta Italia, determinando quasi un terzo dell’economia informale nazionale.
Questo quadro evidenzia un problema strutturale, con molti lavoratori che operano senza diritti, tutele o salari adeguati. Le attività principali sono concentrate nella cura di anziani, bambini e persone con limitata autonomia. Non a caso, nella maggior parte dei casi sono donne, spesso migranti, a occuparsi di questi compiti domestici. Il valore economico di questa economia sommersa è stimato intorno ai 16 miliardi di euro, equivalente a quasi lo 0,75% del PIL italiano.
Nonostante il ruolo essenziale per il benessere delle famiglie, la spesa dedicata a questi servizi mostra un calo progressivo a partire dal 2014, segnalando le difficoltà crescenti di molte famiglie nel mantenere assistenza regolare e di qualità. Tra i nuclei con redditi inferiori a 2.000 euro mensili, l’85% fa ricorso a risparmi personali o si indebita pur di garantire un aiuto domestico. Poco più che una minoranza rispetta integralmente i requisiti contributivi e la normativa sul lavoro.
Maternità e lavoro: il calo dei redditi femminili dopo la nascita del primo figlio
L’arrivo di un figlio modifica profondamente i percorsi professionali, soprattutto di chi si occupa della cura. Prima della maternità i redditi di madri e padri seguono andamenti simili. Al momento del parto però le differenze diventano evidenti. Nel primo anno dopo la nascita il reddito delle donne cala in media del 76%, mentre quello dei padri continua a incrementarsi del 6%.
Le conseguenze si protraggono nel tempo. Solo dal terzo anno si nota una certa ripresa del reddito femminile, ma per recuperare i livelli precedenti occorrono circa cinque anni. Nel frattempo, il reddito maschile registra un aumento medio del 50% rispetto all’anno della nascita del bambino. Questo gap equivale a un forte ostacolo alla partecipazione attiva delle madri nel mercato del lavoro e riflette difficoltà profonde nel coniugare impegni di cura e professionali.
“Il saldo negativo nei guadagni dopo la maternità evidenzia la debolezza delle tutele e la mancanza di servizi accessibili che possano alleggerire il compito delle donne.” Resta la necessità di misure efficaci che incentivino un’occupazione stabile e remunerativa anche per chi affronta la gestione della famiglia con un neonato.
Caratteristiche demografiche e formativa dei lavoratori domestici
Il profilo dei lavoratori domestici in Italia mostra elementi importanti sotto il profilo dell’età e della preparazione. L’età media si attesta intorno ai 51 anni, indicativo di una forza lavoro piuttosto anziana. Solo il 4% dei lavoratori possiede una certificazione formale riconosciuta nel settore, a testimonianza della scarsa diffusione di percorsi formativi strutturati e comuni.
La composizione della forza lavoro è ancora a maggioranza straniera, con il 69% degli addetti proveniente da altri paesi. Negli ultimi anni però si è registrato un aumento del 20% di lavoratori italiani, un segnale di mutamenti nel mercato e nelle esigenze delle famiglie. La formazione resta un capitolo poco sviluppato, il che limita le possibilità di qualifica e di accesso a condizioni contrattuali migliori.
La formazione come elemento chiave
Lo studio segnala la necessità urgente di rafforzare offerte educative e corsi che garantiscano competenze riconosciute agli operatori. Un settore che coinvolge milioni di persone non può prescindere da percorsi omogenei e da un sistema di certificazioni in grado di valorizzare chi opera nelle case.
Proposte per un sistema più equo e sostenibile nel lavoro domestico
Per far fronte alle criticità emerse Nuova Collaborazione avanza una proposta articolata su quattro punti chiave. Il primo è il cosiddetto “zainetto fiscale”, un credito d’imposta individuale e trasferibile all’interno della famiglia, che può essere usato per coprire spese di cura, assistenza ed educazione. Si tratta di una misura pensata per semplificare e razionalizzare l’attuale sistema frammentato di bonus e detrazioni.
La seconda proposta prevede un contributo pubblico dedicato alle famiglie che assumono lavoratori domestici certificati. Questo sostegno sarebbe modulato in base all’ISEE e alla situazione occupazionale dei componenti del nucleo, con l’intento di favorire la regolarizzazione e la conciliazione tra vita privata e lavoro.
Il terzo punto riguarda un “bonus per l’assunzione domestica”, che coprirebbe fino all’84% delle spese per badanti o baby sitter nei casi di famiglie con basso ISEE che utilizzano un impiego full time. Per esempio una famiglia che paga 442 euro mensili potrebbe vedersi rimborsare 371 euro. Questo aiuto cala con l’aumentare del reddito o in caso di impiego part time, ma punta a sostenere la partecipazione femminile al lavoro.
Infine, la proposta include un investimento nella formazione, con incentivi alle famiglie per assumere operatori certificati. Si prevede anche la creazione di un registro nazionale dei lavoratori domestici consultabile online e la standardizzazione dei percorsi formativi a livello regionale. Queste iniziative mirano a migliorare la qualità e la trasparenza del settore.
Questi interventi rappresentano un tentativo concreto di ridurre il sommerso, ampliare tutele e riconoscere il valore sociale del lavoro domestico, che resta un pilastro per molte famiglie italiane.