Il regolamento europeo sull’intelligenza artificiale, noto come AI act, ha sollevato discussioni sulla sua complessità e sulle difficoltà applicative, specie per le imprese italiane di piccole e medie dimensioni. Durante un confronto a Milano, esperti hanno sottolineato come la scelta di una neutralità tecnologica e l’adozione di linee guida non vincolanti abbiano generato incertezze che rischiano di complicare la conformità alle nuove regole. Il testo mira a regolare l’uso dell’IA bilanciando innovazione e sicurezza, ma resta da capire come sarà recepito sul territorio europeo.
La neutralità tecnologica: una scelta che complica la chiarezza dell’AI act
L’AI act adotta una posizione definita di neutralità tecnologica, cioè evita di indicare tecnologie specifiche per non limitare lo sviluppo futuro. Questa decisione è stata dettata dal desiderio di creare un quadro normativo valido anche con l’evolversi rapido delle tecnologie IA. Tuttavia, la neutralità ha generato un risultato meno nitido rispetto alle previsioni iniziali. Alcuni passaggi del testo risultano poco chiari e aperti a diverse interpretazioni.
Commenti di andrea bertolini
Andrea Bertolini, direttore del Centro sulla regolazione della robotica e IA della Scuola Superiore Sant’Anna, ha dichiarato che questa scelta, pur utile in prospettiva, rende complessa la compliance. Le imprese devono affrontare dubbi sull’effettiva obbligatorietà di alcuni passaggi e sulla possibilità di distinguere tra tecnologie soggette a regolamentazione e quelle escluse, evitando così rischi legali.
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Questa opacità può tradursi anche in costi maggiori. Le aziende, infatti, sono chiamate a strutturare procedure interne e affidarsi a consulenze legali più dettagliate del passato, per non incorrere in sanzioni. Gli investimenti richiesti dalla conformità potrebbero diventare pesanti, soprattutto per le piccole e medie imprese italiane, spesso meno attrezzate sotto il profilo normativo e burocratico rispetto ai grandi gruppi internazionali.
Le linee guida: tra soft law e rischio frammentazione del mercato europeo
Per risolvere alcune ambiguità, l’AI act ha scelto di affidarsi a linee guida di tipo soft law. Questi documenti non hanno valore di legge vincolante e offrono indicazioni interpretative. Bertolini ha spiegato che tale soluzione si basa sull’elasticità d’applicazione nei diversi stati membri.
Implicazioni per il mercato unico digitale
Questo metodo consente un adattamento locale ma apre la strada a possibili differenze applicative tra i vari paesi UE. Di fatto, i giudici nazionali potranno discostarsi da queste linee guida, applicando la norma in modo disomogeneo. Il rischio, così, è una frammentazione del mercato interno, con regole e interpretazioni diverse che complicano la circolazione di prodotti e servizi IA.
L’intenzione iniziale era, invece, evitare proprio questo scenario, puntando a un mercato unico digitale più coerente. La presenza di regole flessibili con margini interpretativi non coordinati mette a rischio quella uniformità normativa. Le implicazioni sono evidenti per chi opera nel settore IA in Europa: pianificazione e investimenti potrebbero doversi adeguare a contesti regolatori diversi, moltiplicando i costi e riducendone la competitività complessiva.
L’onere delle norme sulle piccole e medie imprese italiane
In Italia, la preoccupazione riguarda soprattutto le piccole e medie imprese . Queste aziende giocano un ruolo rilevante nell’economia nazionale, spesso però con risorse limitate rispetto a società più grandi. La complessità dell’AI act e la necessità di conformarsi a regole poco definite si traducono in sfide considerevoli.
Le PMI potrebbero dover sostenere spese elevate per monitorare costantemente gli aggiornamenti delle linee guida e adeguare le proprie procedure. La gestione interna della compliance richiederà figure specializzate o consulenze esterne, non sempre accessibili per dimensioni o budget.
In più, la variabilità interpretativa della normativa a livello europeo può creare situazioni di incertezza anche nei mercati di export o nelle collaborazioni transnazionali. Le imprese italiane rischiano, quindi, di trovarsi in svantaggio competitivo rispetto a operatori con strutture più preparate o con sede in paesi che interpretano l’AI act in modo meno rigido.
Parole di bertolini sulle PMI
Bertolini ha evidenziato che bisogna pensare a questo aspetto come a un onere tangibile che interessa la maggior parte delle PMI. Non si tratta solo di investimenti tecnici, ma anche di risorse dedicate alla formazione del personale, la revisione di prodotti e servizi e la predisposizione di un sistema di controllo normativo efficace.
Un contesto europeo complesso tra innovazione e regole
Il dibattito sull’AI act rientra in un confronto più ampio che riguarda l’Europa e il suo ruolo nel regolamentare tecnologie in rapido sviluppo. L’obiettivo è garantire che l’adozione dell’intelligenza artificiale sia sicura e rispettosa dei diritti dei cittadini senza soffocare l’innovazione.
Tuttavia, l’eterogeneità dei sistemi giuridici e la diversità di interessi tra gli stati membri complica la definizione di regole precise e uniformi. La linea guida soft law rappresenta una strategia per conciliare esigenze diverse.
La tavola rotonda organizzata da Ispi a Milano ha messo in evidenza questi contrasti. Esperti hanno discusso come governare l’IA sia una sfida non solo tecnica ma anche politica e sociale. La ricerca di un equilibrio tra regole, sicurezza e sviluppo economico resta un processo aperto, con un impatto diretto sull’ecosistema delle imprese europee.
L’AI act, con le sue ambiguità, rispecchia questa complessità. Il futuro dirà se la strategia adottata porterà a un mercato più stabile o a ulteriori divisioni. Nel frattempo, le imprese devono prepararsi a navigare un terreno normativo incerto, con effetti che, specie in Italia, rischiano di farsi sentire in maniera significativa.