Il 23 maggio 2025 a napoli, una vicenda drammatica ha acceso un acceso confronto pubblico sul tema della violenza nelle relazioni sentimentali e sulle definizioni legate al femminicidio. Ilaria Capezzuto ha sparato alla sua compagna, Daniela Strazzullo, nella periferia est della città. La vittima è morta il giorno successivo, mentre l’assassina si è tolta la vita con la stessa arma. Questo episodio ha spinto il vicesegretario ed europarlamentare della lega, Roberto Vannacci, a sollevare un dibattito acceso sui social, nello specifico su come vengono trattate le violenze fra donne e le diverse interpretazioni di violenza nella società.
Dettagli e dinamica dei fatti a napoli
Nel pomeriggio del 23 maggio 2025, alla periferia est di napoli, è scoppiata una tragedia familiare che ha coinvolto due donne legate da una relazione sentimentale. Ilaria Capezzuto ha sparato alla compagna Daniela Strazzullo. La donna ferita è deceduta il giorno dopo in ospedale. Dopo aver compiuto il gesto, Capezzuto si è suicidata utilizzando la stessa arma da fuoco. L’episodio ha sollevato l’attenzione dei media locali e nazionali per la sua gravità e per la dinamica poco comune nelle cronache di questo tipo.
Indagini e contesto sociale
Gli investigatori hanno avviato subito le indagini per ricostruire il movente e le circostanze esatte. Secondo alcune fonti investigative, la società in cui vivevano e le tensioni legate alla relazione sentimentale potrebbero aver avuto un peso rilevante. Va sottolineato che casi di violenza tra donne, specialmente in ambito sentimentale, ricevono spesso meno spazio mediatico rispetto a quelli che coinvolgono uomini come autori di violenza.
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Dibattito pubblico dopo la tragedia: femminicidio e mascolinità tossica
Il post pubblicato da Roberto Vannacci su Facebook subito dopo la tragedia ha rilanciato una discussione controversa. Vannacci ha messo in dubbio l’uso del termine “femminicidio” limitato ai casi in cui un uomo uccide una donna. Egli ha chiesto “perché nessuno parli di femminilità tossica quando invece è una donna a uccidere un’altra donna, in contesti legati a storie d’amore complicate o litigiose”.
L’europarlamentare della lega ha fatto riferimento ad un dibattito diffuso negli ultimi anni, in cui la definizione di femminicidio è strettamente legata al concetto di mascolinità tossica. Questa locuzione descrive comportamenti violenti o di sopraffazione che derivano da modelli maschili di dominio. Vannacci sostiene che questa correlazione non venga estesa al contrario, ovvero alla violenza femminile, che raramente viene analizzata nella stessa chiave o con termini specifici.
Reazioni al post di Vannacci
Le reazioni a questo post sono state divisive. Alcuni hanno appoggiato il ragionamento di Vannacci, ritenendo necessario un discorso più ampio sul tema della violenza senza distinzioni di genere. Altri, in particolare esperti di diritti e rappresentanti delle associazioni femminili, hanno sottolineato come il femminicidio risponda a una specifica realtà sociale e culturale, radicata in comportamenti storici di dominio e discriminazione. Per loro la violenza femminile, quando avviene, non è paragonabile allo stesso fenomeno e deve essere trattata con categorie differenti.
Cause della violenza e educazione delle nuove generazioni
Sempre nel suo post, Vannacci ha associato alcuni comportamenti violenti al modo in cui vengono educati i giovani, accusando la società di “elevare la debolezza a una virtù”. Ha spiegato che questo atteggiamento produce persone meno resistenti e più fragili, capaci di gesti estremi come quelli di napoli proprio perché mancano riferimenti forti e stabili sul piano dei valori.
Educazione emotiva e affettiva
Questo punto di vista richiama un tema più ampio sull’educazione emotiva e affettiva dei giovani, spesso dibattuto nelle scuole e nei centri formativi. Gli esperti ricordano che l’educazione dovrebbe fornire strumenti di gestione dei conflitti e della rabbia, migliorare l’empatia e la capacità di comprensione reciproca. Non poche volte, la violenza si manifesta quando questi strumenti mancano, ma dare una sola causa al fenomeno è riduttivo. Ci sono motivazioni psicologiche, relazionali e sociali che si intrecciano, diverse per ogni caso e contesto.
Il caso di Ilaria e Daniela apre uno spaccato su come la società affronta la violenza tra persone dello stesso sesso. Manca una codifica chiara e condivisa di termini, azioni e prevenzione. L’approccio correttamente differenziato dovrebbe servire a offrire risposte più adeguate ma soprattutto interventi mirati.
Il ruolo dei media e la percezione pubblica della violenza di genere
Il modo in cui media e opinione pubblica trattano i fatti di cronaca come quello accaduto a napoli evidenzia alcune lacune. Le violenze commesse da uomini contro donne sono spesso descritte come espressione di un fenomeno strutturale, mentre quelle tra donne sono raccontate soprattutto come episodi isolati, dovuti a motivi specifici e personali.
Linguaggio e rappresentazione culturale
Questa differente rappresentazione influisce sul dibattito culturale e legislativo. Alcuni osservatori notano come, in Italia, si tenda a enfatizzare la violenza maschile, tema senza dubbio urgente, ma trascurando i casi di violenza femminile e le relazioni complicate tra donne. Ciò non significa equiparare i due fenomeni, ma riconoscere che ogni atto di violenza debba essere approfondito e affrontato senza pregiudizi.
Il caso di napoli diventa quindi un punto di partenza per riflettere sulle sfumature della violenza nelle relazioni e per ripensare le categorie e i linguaggi con cui si comunicano questi fatti al pubblico. Un linguaggio più preciso aiuta a migliorare anche gli interventi delle forze dell’ordine, del sistema giudiziario e dei servizi sociali.
Il confronto culturale su questi temi resta acceso e in evoluzione. Gli avvenimenti di cronaca come quelli del 23 maggio hanno lo scopo di mettere in luce aspetti meno visibili e stimolare una discussione più ampia, che tocchi non solo le responsabilità individuali ma anche il contesto sociale.