Il 23 maggio 1992 restò una data tragica per l’Italia e in particolare per chi combatteva contro la mafia. Alle 17:58 una carica di 500 chili di tritolo fece saltare in aria un tratto dell’autostrada A29, vicino a Capo d’Orlando, in Sicilia. L’attentato colpì l’auto del giudice Giovanni Falcone e della sua scorta. Quel gesto, voluto e organizzato da Cosa nostra, cancellò una figura di grande rilievo nella lotta alla criminalità organizzata. Con lui morirono anche sua moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta.
Il contesto dell’attentato: la lotta a cosa nostra e il ruolo di falcone
Giovanni Falcone era uno dei più importanti magistrati impegnati nel contrasto alla mafia negli anni ‘80 e inizio ‘90. Insieme a Paolo Borsellino, suo collega e amico, guidava indagini che colpivano duramente gli interessi di Cosa nostra. Falcone aveva messo a punto nuove strategie d’inchiesta, basate principalmente sulla collaborazione con i pentiti, tra cui Tommaso Buscetta. Questa metodica permise di smantellare interi apparati criminali, portando all’arresto di numerosi boss e all’istruzione di processi storici come il massimo procedimento.
La reazione della mafia
Tuttavia, questo lavoro accese la rabbia della mafia che vedeva in Falcone un serio pericolo. La sua protezione si era intensificata, ma non bastò a evitare che Cosa nostra organizzasse una rappresaglia in grande stile. Quel tremendo attentato sull’autostrada A29 segnò la volontà di eliminare chi metteva a rischio i loro affari.
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L’esplosione avvenne mentre il convoglio guidato da Falcone percorreva un tratto dell’autostrada tra Palermo e Porto Empedocle. I mafiosi avevano piazzato 500 chili di tritolo sotto la carreggiata, nascosti all’interno di un tombino. Erano collegate a un congegno che avrebbe fatto detonare la carica al passaggio del corteo.
A quell’ora, il giudice e la scorta viaggiavano su tre vetture protette, ma la forza dell’ordigno fu tale da distruggere la prima auto, una BMW, e uccidere all’istante Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti Schifani, Dicillo e Montinaro. Il boato si sentì per chilometri, suscitando shock immediato in tutto il paese. Dopo l’attentato le indagini coinvolsero le forze dell’ordine per scoprire ogni dettaglio dell’organizzazione e dei responsabili.
Vittime dell’attentato: il tributo a chi accompagnava falcone
Oltre a Giovanni Falcone, quel pomeriggio persero la vita cinque persone. Francesca Morvillo, moglie del giudice e anche lei magistrato, era con lui nell’auto di testa. A pochi metri dal giudice c’erano tre uomini della scorta: Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Ognuno di loro svolgeva un ruolo importante per garantire la sicurezza durante gli spostamenti di Falcone.
La scomparsa di queste figure toccò profondamente la società italiana, accendendo un riflettore sulla pericolosità della mafia e sulla necessità di sostenere chi si batte contro di essa. La perdita fu pesante anche dal punto di vista umano, visto che questi uomini avevano scelto di rischiare la vita per tutelare la giustizia.
La memoria delle vittime
“Il coraggio e il sacrificio di queste persone rimangono un esempio per tutti coloro che credono nella legalità.”
L’impatto sull’opinione pubblica e sulla lotta alla mafia
L’attentato del 23 maggio 1992 scosse profondamente l’opinione pubblica italiana. Arrivò a pochi mesi dalla strage di via D’Amelio, dove venne ucciso Paolo Borsellino, stretto collaboratore di Falcone. Questi due eventi aumentarono la pressione sull’intero paese e spinsero autorità e cittadini a chiedere misure più efficaci contro i boss mafiosi.
In seguito a queste tragedie furono avviati programmi più rigidi per combattere Cosa nostra, con leggi più severe e una maggiore collaborazione tra magistratura, forze dell’ordine e politica. Si intensificò anche la protezione per i magistrati minacciati. L’azione della società civile prese vigore, con manifestazioni e iniziative per ricordare Falcone e le vittime, alla ricerca di giustizia e verità.
L’eredità di falcone
Lo scenario creato da questa strage occupa ancora un posto centrale nella memoria collettiva. Falcone e la sua scorta rappresentano “il prezzo pagato per la lotta contro la criminalità organizzata e il coraggio necessario a sfidarla.”