La recente riunione dei 32 Paesi membri della Nato all’Aja ha segnato una svolta significativa nelle politiche di difesa dell’Alleanza Atlantica. L’obiettivo comune prevede di portare l’investimento annuale in difesa e sicurezza a una quota pari al 5% del Pil entro il 2035. Questa decisione, fortemente voluta dagli Stati Uniti con il presidente Donald Trump come figura chiave, presenta implicazioni importanti per i governi coinvolti, Italia compresa, e riflette un cambiamento rilevante nel contesto strategico post Guerra Fredda.
Un impegno condiviso ma con tensioni tra i paesi membri
L’accordo siglato all’Aja rappresenta uno degli aumenti più sostanziosi della spesa militare registrati negli ultimi decenni. I 32 Paesi della Nato hanno convenuto nel destinare una parte ancor più rilevante di risorse alla difesa. In particolare, la quota del 5% del Pil entro il 2035 si suddivide in un 3,5% per la difesa tradizionale e un ulteriore 1,5% riservato alla protezione delle infrastrutture critiche, sicurezza delle reti informatiche, resilienza civile e potenziamento dell’industria del comparto militare.
Tensioni e pressioni su spagna e altri stati
Nonostante la convergenza formale, non sono mancati momenti di contrasto. La Spagna di Pedro Sánchez si è opposta all’incremento, ricevendo critiche dirette da Trump, che ne ha definito la posizione “terribile” e ha minacciato possibili ritorsioni commerciali. A fronte di queste tensioni, alla fine Madrid ha approvato la dichiarazione finale, come sottolineato dalla premier italiana Giorgia Meloni, che ha evidenziato come al summit non si siano registrate ulteriori polemiche o strappi tra alleati.
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L’Italia si prepara a sostenere la crescita delle spese militari senza intaccare le priorità domestiche
La premier Giorgia Meloni ha confermato la volontà italiana di partecipare attivamente a questo aumento degli investimenti in difesa. Nel dettaglio, l’Italia punta a bilanciare l’impegno richiesto con una gestione attenta delle risorse pubbliche, evitando di sottrarre fondi ad altre priorità nazionali. Il piano prevede anche una verifica intermedia nel 2029 per controllare l’andamento delle spese rispetto agli obiettivi stabiliti.
Meloni ha mostrato attenzione nel ribadire che questa crescita sarà gestita “con totale flessibilità” e non comporterà necessità di scostamenti di bilancio immediati. Il governo ritiene di poter evitare di attivare la cosiddetta “escape clause” per il 2026, evitando così manovre aggiuntive sui conti pubblici. Inoltre, ha spiegato come molti degli investimenti previsti potranno favorire le aziende italiane legate al settore difesa, creando occupazione e supportando il tessuto industriale nazionale.
Riflessioni sulla difesa europea e sulla politica internazionale
Il vertice ha offerto anche l’occasione a Meloni per manifestare la sua posizione riguardo a un’eventuale difesa europea autonoma. Ha escluso l’ipotesi di un sistema militare continentale indipendente, definendola una “duplicazione” rispetto alla Nato. La sua linea punta a concentrare gli sforzi sul rafforzamento della Nato con un contributo europeo coordinato all’interno dell’Alleanza Atlantica.
Posizione sulla crisi mediorientale e sostegno alla pace
Sul fronte internazionale, la premier ha commentato con favore il recente cessate il fuoco raggiunto tra Israele e Iran, auspicando che situazioni simili si possano realizzare in altri teatri di conflitto come quello ucraino e nella Striscia di Gaza. Ha sottolineato la necessità di portare avanti un impegno diplomatico determinato per facilitare accordi di pace e stabilità.
Il legame tra aumento della spesa militare e questioni economiche tra ue e stati uniti
Durante il summit è emersa anche la questione dei dazi americani sulle merci europee. Meloni ha evidenziato come le tensioni commerciali siano collegate alla riorganizzazione e al rafforzamento delle politiche di difesa. Il confronto con Donald Trump, durante la cena ufficiale all’Aja, ha rimarcato l’importanza di un equilibrio tra cooperazione militare e relazioni economiche.
La premier ha mostrato apertura verso una possibile intesa sulle tariffe, definendo la discussione ancora “ongoing”. Ha segnalato la disponibilità a considerare compromessi sulla soglia del 10% dei dazi che, secondo lei, non rappresenterebbe un ostacolo significativo per l’Europa. Tuttavia, ha anche avvertito che sarà necessario trovare modalità che consentano di armonizzare i maggiori investimenti militari con le regole europee vigenti, tema che divide alcuni leader come il primo ministro ungherese Viktor Orbán, preoccupato dalle difficoltà a rispettare i vincoli attuali.
La pressione sulla russia e il ruolo dell’italia nel sostegno all’ucraina
Il Consiglio europeo che si è aperto a Bruxelles ha portato al centro del dibattito la situazione in Ucraina. Qui Meloni si è confrontata con leader di paesi chiave come Francia, Germania, Regno Unito e Polonia, assieme al segretario generale della Nato Mark Rutte e al presidente ucraino Volodymyr Zelensky.
Nel corso dell’incontro sono stati discussi gli sforzi per rafforzare il sostegno diplomatico e militare all’Ucraina, con l’obiettivo di favorire un cessate il fuoco seguito da un percorso negoziale. I partecipanti hanno convenuto sulla necessità di mantenere elevata la pressione economica e politica su Mosca, attraverso un nuovo pacchetto di sanzioni. Questo tema continua a rappresentare una delle priorità per la politica estera europea e avrà riflessi sugli equilibri internazionali nei mesi a venire.