L’Archivio di Stato di Ancona ha portato alla luce una serie di documenti che attestano il ruolo delle donne nella resistenza partigiana nella provincia dorica. Finora la loro partecipazione era nota soprattutto tramite testimonianze orali e interviste. Una mostra e un convegno hanno approfondito 278 fascicoli, provenienti dall’Ufficio Documentale del Comando Militare Esercito Marche, contenenti i riconoscimenti ufficiali di “patriota”, “partigiano” o “partigiano combattente” per numerose donne. Questi archivi danno un volto più concreto alle vicende di donne che, nel pieno del conflitto, svolsero compiti fondamentali, spesso nascosti anche dallo stesso riconoscimento pubblico.
La mostra e il convegno che hanno svelato i fogli matricolari delle partigiane
L’evento promosso dall’Archivio di Stato di Ancona prevedeva di svolgersi nelle settimane intorno al 25 aprile, giorno simbolo della liberazione in Italia. Tuttavia è stato rinviato in segno di rispetto per la morte di papa Francesco. Recuperata la data, la manifestazione ha riscosso grande interesse e ha coinvolto un pubblico numeroso. Al centro dell’incontro la testimonianza di Maria Cavatassi, nata nel 1927, che a 14 anni svolgeva il ruolo di staffetta partigiana. Le sue parole, vive e dirette, hanno offerto un quadro vivido della difficile condizione delle famiglie contadine dell’epoca e di come si fossero impegnate nel salvataggio dei rifugiati.
Comunanza e la vita delle famiglie contadine durante la guerra
Maria descrive la vita di Comunanza , il suo paese montano, dove la povertà era estrema e si conviveva con scarsità di cibo e difficoltà quotidiane. Nonostante ciò, lei e la sua famiglia accolsero soldati alleati in fuga e li protessero nascondendoli in rifugi improvvisati. Questa pratica non era isolata. Molte donne della zona, spesso analfabete e vissute in condizioni modeste, svolgevano un doppio lavoro, prendendosi cura della casa e dei figli, ma offrivano anche il proprio aiuto, mettendo a rischio l’incolumità per solidarietà verso chi scappava dai nazifascisti.
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Il contributo silenzioso e decisivo delle donne nella guerra di liberazione
Secondo Annalisa Cegna, docente universitaria e direttrice dell’Istituto storico di Macerata, le donne furono la vera spina dorsale della resistenza. Erano volontarie per scelta, non per un incarico ufficiale. Questo spiega perché molte non siano state riconosciute nei registri militari dell’epoca. Il decreto legislativo del 1946 concedeva il titolo di partigiano solo a chi aveva partecipato a scontri armati, escludendo dunque chi aveva svolto ruoli decisivi ma non combatteva direttamente.
Il ruolo della legge e i limiti del riconoscimento formale
Roberto Lucioli, storico, ha spiegato che la legge assegnava benefici economici soltanto a chi dimostrava di aver preso parte a battaglie, lasciando fuori tutte le altre donne. Queste lottavano a modo loro, e pur non essendo incluse negli elenchi ufficiali, contribuivano alla lotta con altre azioni fondamentali, come il trasporto di messaggi, il soccorso, e la protezione dei rifugiati. Quel riconoscimento in alcuni casi arrivò solo più tardi, grazie ai documenti ora raccolti all’Archivio di Stato di Ancona.
Sviluppo di una nuova coscienza sociale e politica tra le donne partigiane
Maria Laura Belloni, esperta di storia contemporanea, ha notato come l’esperienza partigiana abbia cambiato chi vi partecipò, in particolare le donne. Il rischio e il coinvolgimento diretto portarono a una consapevolezza nuova dei diritti civili e politici. Ciò si tradusse, dopo la guerra, nel desiderio di partecipazione pubblica e nel sostegno al suffragio femminile. Per Maria Cavatassi, la fine del conflitto segnò l’inizio di una nuova battaglia, quella per il diritto di voto alle donne, un passo fondamentale che permise poi la nascita della Repubblica Italiana.
Le testimonianze frammentarie e ancora parzialmente trascurate sono oggi raccolte e valorizzate grazie a questa importante operazione archivistica. L’intervento di figure istituzionali come la direttrice dell’Archivio di Stato di Ancona, Silvia Caporaletti, il soprintendente archivistico Benedetto Luigi Compagnoni e la presidente dell’Anpi di Ancona Nicia Pagnani ha contribuito a delineare l’importanza storica di questa documentazione.
Una memoria riscoperta e parte integrante del patrimonio culturale
La riscoperta di questi fogli matricolari delle donne partigiane arricchisce la conoscenza delle vicende della Resistenza nelle Marche, focalizzandosi sul contributo di chi ha agito nelle retrovie, spesso ignorato ma non meno cruciale. La storia di queste donne emerge così da un’ombra di silenzio e diventa parte integrante della memoria collettiva del territorio e dell’intero paese.