La Corte di Cassazione italiana ha rivolto una richiesta di chiarimento urgente alla Corte di giustizia dell’Unione europea riguardo l’applicazione della direttiva 2008/115 sui rimpatri dei cittadini stranieri con soggiorno irregolare. La questione nasce dall’analisi della compatibilità tra le nuove norme italiane, in particolare l’articolo 3 della legge 14 del 2024, e le disposizioni europee. Al centro del dibattito c’è il protocollo siglato tra Italia e Albania, che regola i rimpatri verso quest’ultimo paese, suscitando dubbi sulla sua conformità alle regole comunitarie.
Il protocollo italia-albania e le sue disposizioni sul rimpatrio
Nel 2024 l’Italia e l’Albania hanno firmato un protocollo per rafforzare la collaborazione in materia migratoria. Questo accordo prevede il rimpatrio in Albania di persone con provvedimenti di trattenimento convalidati o prorogati, anche quando non esista una prospettiva chiara e predeterminata di rimpatrio effettivo. La norma italiana introdotta con la legge n. 14 ha recepito questo protocollo, ma è proprio questa parte che ha fatto sorgere perplessità, tanto da spingere la Corte di Cassazione a sospendere il giudizio e richiedere un intervento della Corte UE.
La questione principale riguarda la possibilità di trattenere e trasferire stranieri in Albania in assenza di una data certa per il rimpatrio definitivo. L’ordinanza della Cassazione mette in dubbio se tale pratica rispetti i diritti fondamentali disciplinati dalla direttiva europea 2008/115, che stabilisce norme comuni per il rimpatrio di cittadini di Paesi terzi con status irregolare. Il dubbio è che l’attuazione italiana possa portare a una detenzione prolungata senza garanzie efficaci sul rispetto delle procedure e dei tempi previsti dal diritto europeo.
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In questa fase, la Corte di Cassazione ha sottolineato l’urgenza di un chiarimento per garantire un’applicazione uniforme delle norme europee e limitare eventuali abusi nelle procedure di trattenimento e rimpatrio. Ecco perché ha deciso di fermare alcuni procedimenti in attesa della sentenza della Corte di giustizia Ue.
I casi dei cittadini tunisino e algerino che hanno acceso il dibattito
L’ordinanza di rinvio si basa su due casi specifici, trattati insieme per motivi di omogeneità, riguardanti un cittadino tunisino e uno algerino. Entrambi sono stati destinatari di provvedimenti di espulsione, ma sono intervenute difficoltà concrete nel portare a termine i rimpatri. Nel caso del tunisino, l’iter è partito nel settembre 2024 con il rifiuto del permesso di soggiorno, motivato dall’ingresso irregolare e reati commessi in Italia. La situazione si è complicata perchè non era stato possibile completare il rimpatrio a causa dell’assenza di voli disponibili e di documenti validi per l’espulsione.
Il cittadino tunisino è stato inizialmente trattenuto nel Centro di permanenza per i rimpatri di Bari e poi trasferito al centro rimpatri di Gjader, in Albania. Durante questo periodo ha presentato domanda di protezione internazionale, respinta dalla Commissione territoriale che ha escluso rischi di persecuzione in patria. Questo passaggio ha condotto la Corte d’Appello di Roma ad annullare la convalida del trattenimento, ritenendo che chi fa richiesta di protezione debba poter rimanere in Italia finché la domanda venga esaminata compiutamente. Di conseguenza, ha ordinato il rientro del tunisino nel territorio italiano.
Per quanto riguarda l’algerino, la storia è simile: arrivato alla frontiera di Genova, gli era stato intimato di lasciare il territorio entro sette giorni. Anche in questo caso, l’espulsione non si è potuta realizzare per mancanza di documenti validi. L’uomo è stato trasferito, come il tunisino, tra il Cpr di Bari e Gjader. La Corte d’Appello ha respinto il trattenimento, usando analoghe motivazioni basate sul diritto di restare in Italia in attesa dell’esame della domanda di protezione internazionale.
Le implicazioni giuridiche e il ruolo della corte di giustizia UE
Le vicende di questi due migranti hanno evidenziato una divergenza tra le disposizioni italiane e i criteri della direttiva europea sui rimpatri. L’Italia ha adottato norme che autorizzano la detenzione e il trasferimento in Albania in assenza di garanzie certe e tempi definiti, mentre il diritto UE chiede che i rimpatri siano gestiti nel rispetto di procedure rapide e trasparenti.
La Corte di Cassazione ha chiesto alla Corte di giustizia di pronunciarsi sull’interpretazione della direttiva 2008/115, per verificare se l’articolo 3 della legge 14/2024 violi le regole comunitarie. Lo scopo è chiarire se e quando è possibile trattenere e trasferire cittadini stranieri verso Paesi terzi senza avere una data fissa per l’espulsione effettiva.
Questo passaggio è determinante, perché i giudici europei dovranno definire la portata dei diritti dei migranti e la legittimità delle procedure di trattenimento previste dal protocollo italo-albanese. La decisione influenzerà la gestione dei rimpatri e i rapporti tra Italia e Albania sui flussi migratori nei prossimi anni.
La questione è seguita con attenzione anche dagli operatori del diritto e dagli enti per i diritti umani, data la delicatezza dei temi legati alla libertà personale e alle garanzie processuali nelle pratiche di espulsione dai Paesi UE.