La comunità ebraica di Milano ha deciso di non partecipare al pride che si svolgerà domani. Il motivo principale riguarda il linguaggio utilizzato dall’organizzazione, in particolare l’uso del termine genocidio per descrivere la situazione in Palestina. Questa scelta segna un precedente nella lunga partecipazione degli ebrei milanesi all’evento, scaturita da un dissenso che si è fatto forte nelle ultime settimane.
La posizione di davide romano e il rifiuto alla partecipazione
Davide Romano, direttore del Museo della brigata ebraica di Milano, ha spiegato con una nota ufficiale la decisione di non prendere parte al pride. Romano sottolinea come per la prima volta nella sua vita non potrà essere in piazza insieme agli amici per via del linguaggio adottato dagli organizzatori. In particolare, il riferimento al termine genocidio rischia di alimentare aggressioni contro la comunità ebraica, con un focus specifico sugli ebrei lgbti.
Recenti episodi suggeriscono un clima di tensione crescente: a Roma, l’associazione Keshet Europe, cui fanno capo ebrei lgbti di tutta Europa, è stata bersaglio di contestazioni con urla di “assassini” e “terroristi”. Anche Keshet Italia è stata esclusa dal Toscana pride per aver portato bandiere arcobaleno con la stella ebraica, gesto che i promotori del Pride non hanno accettato.
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Questo clima di confronto acceso evidenzia come l’uso di certi termini nel dibattito pubblico possa influenzare negativamente la sicurezza e la serenità di gruppi minoritari dentro lo stesso pride.
Perché il termine genocidio crea divisioni e timori
Romano punisce duramente l’impiego della parola genocidio nel contesto attuale. Sottolinea che, sebbene chi partecipa al pride sia di norma attento alle parole che possono scatenare intolleranza e violenza, per qualche ragione chi ha adottato questa terminologia pare non rendersene conto. La parola genocidio richiama tragedie storiche profonde ed è da sempre legata a episodi di antisemitismo che colpiscono indiscriminatamente le comunità ebraiche italiane.
Nel documento politico del pride milanese si parla esplicitamente di “genocidio documentato perpetrato dal governo israeliano in Palestina”, una definizione che per Romano è sbagliata e pericolosa. Certo, il direttore si dichiara il primo a mostrare solidarietà verso le vittime innocenti di Gaza, ma respinge la definizione perché genera violenza verbale e materiale.
L’utilizzo di questo termine rischia di far crescere un clima di odio e divisione che mette a rischio la convivenza pacifica e la tutela delle minoranze, compresa quella ebraica.
Implicazioni per il futuro del pride e il dialogo tra le comunità
La decisione di Romano e della comunità ebraica milanese apre uno scenario delicato sulle modalità di partecipazione a manifestazioni collettive che si vogliono inclusive. Il rifiuto di partecipare a un pride che usa un linguaggio definito violento rappresenta un segnale forte.
Questo contrasto mette in evidenza una spaccatura che non riguarda solo la questione palestinese, ma si riflette sull’accoglienza delle minoranze, in particolare quelle lgbti dentro le comunità religiose e culturali.
Il dibattito sulle parole è più che mai cruciale, se si vuole garantire un clima di rispetto e senza conflitti. Il tema, pur complesso, chiede confronto e prudenza per non alimentare tensioni inutili. La comunità ebraica di Milano rimane ferma sulla necessità di evitare termini che possano giustificare aggressioni o alimentare odio verso gruppi già vulnerabili.
Riflessioni sulla manifestazione milanese di domani
In vista della manifestazione milanese di domani, la presenza della comunità ebraica resta un tema aperto, come anche la riflessione sul confine tra impegno politico e linguaggio che può far male.